Bersani di lotta e di Governo

Italicum, debito, grillini, riforme, lavoro e chi più ne ha più ne metta: è bastata un’oretta di dibattito a Pier Luigi Bersani per tornare in auge ed esporre il proprio personale pensiero su tutta la linea politica contemporanea.

In un caldo – ma non troppo – pomeriggio di luglio, l’ex Segretario del Partito Democratico si è presentato concentrato e sorridente nella piazza centrale di Casalbertone, uno dei quartieri di Roma che hanno recentemente funto da fortino elettorale del centro-sinistra italiano.

 

La prima domanda, ovviamente, sulle riforme. «Mica servono solo quelle sulla Costituzione» la risposta dell’ex-quasi Premier, che ha rimarcato più volte gli errori di un binomio legge elettorale-ddl Senato da rivedere ché rischia di sbilanciare troppo i poteri nelle mani di un one-man show («e va bene che oggi c’è Renzi, ma domani per dire, ci può essere pure Alemanno magari»). E poi i grillini, che «oggi scongelano questi voti» ma dei quali bisogna guardarsi perché «sai dove nascono ma non sai quando arrivano», rintuzzando su quando «avevamo provato il dialogo», senza però ottenerne esito; ma anche, sottolineato con enfasi, il fatto che «se si pensa al Movimento 5 Stelle non si deve pensare automaticamente a Grillo o Casaleggio» ma agli effetti che un certo tipo di «linguaggio fascista» possa avere nella testa del popolo. E il lavoro? È la vera spada di Damocle nei confronti di questo paese. Ed è su di esso che influiscono anche i rapporti in Europa, puntando il dito contro gli «ex assistenti della Merkel che ora vengono a insegnarci come fare». Quindi il pezzo forte, «il giaguaro», che sarebbe stato almeno in parte smacchiato perché in Parlamento «non c’è più un partito che abbia voglia di fare leggi ad personam – facendo sì che – il partito di Berlusconi si sia così distrutto». Bersani, quindi, prende ufficialmente parte degli eventuali – e presunti – meriti della rottura – eventuale e presunta – del Popolo della Libertà, cosa di cui si fregiò ai suoi tempi anche Enrico Letta.

Certo, il più del dibattito è andato avanti sui temi attualissimi, ossia su quanto il Pd sta facendo per quanto riguarda le riforme. Con il rischio, sostenuto e ripetuto da Bersani, che un partito «popolare, vicino alla gente» se ne allontani ancora di più senza farsi comprendere dal suo bacino elettorale storico. Critiche forti, pesanti, quasi travagliane sul “sistema” Renzi-Boschi. Estremamente strane – per non dire strambe – se provengono da chi,la maggioranza di quei deputati e senatori che potrebbe far passare tali leggi,ha contribuito a portarla con sé sui ricchi carri di Camera e Senato. Curiose se a fare “opposizione” è proprio chi un anno e pochi mesi fa doveva essere la più alta carica parlamentare di questo Paese.
Verrebbe da appellarsi alla cultura popolare, quella più volte trascurata dal partito di Bersani, per affermare con forza che non si sputa nel piatto nel quale s’è mangiato. Il problema, però, è capire a quale interlocutore specifico tocchi rivolgersi.

 

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