LA CASSAZIONE CIRCA IL RITO FORNERO

Con la sentenza del 9 maggio 2014, n. 10133, la Suprema Corte, stautisce per la prima volta sul rito speciale dall’art. 1, commi 47-68, della Legge 92/2012 (c.d. legge Fornero), creato appositamente per definire ancora più celermente la decisione delle controversie sui licenziamenti individuali rientranti nell’area di applicazione dell’art. 18 L. n. 300/1970.

Gli Ermellini hanno colto l’occasione per fare un po’ d’ordine su questo nuovo istituto anche a fronte delle grandi perplessità e degli innumerevoli contrasti tra gli operatori del diritto sin dal suo debutto.
La decisione è stata resa in merito ad un ricorso proposto da un dirigente licenziato avverso l’ordinanza immediatamente esecutiva resa ai sensi della art. 1, comma 49, L. n. 92/2012, che aveva rigettato la domanda attorea, poichè quest’ultimo non aveva sufficientemente provato la natura ritorsiva e discriminatoria dell’atto espulsivo di cui era stato destinatario per mano dell’azienda per la quale lavorava.

La Suprema Corte ha evidenziato come l’iter processuale seguito dal lavoratore per approdare in ultimo grado non ha rispettato quello delineato dai commi 48 e ss dell’art. 1 della Legge n. 92/2012.
Difatti il predetto lavoratore ha optato per il c.d. ricorso per saltum, disciplinato dall’art. 360, II comma, scegliendo di saltare le fasi intermedie (opposizione e reclamo) e sottoporre le proprie doglianze direttamente al Collegio Supremo.
Il Supremo Giudice del lavoro, rileva che avverso l’ordinanza immediatamente esecutiva emessa ai sensi dell’art. 1, comma 49, Legge n. 92/2012, è previsto non già l’appello, bensì l’opposizione innanzi allo stesso giudice.
Solo contro la sentenza emessa a seguito di detta opposizione è ammesso il reclamo innanzi alla Corte d’appello territorialmente competente.

Dunque, sulla scorta di quanto appena rilevato, l’ordinanza emessa, non può qualificarsi quale sentenza appellabile ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 II comma c.p.c., e conseguentemente non può trovare applicazione, nel caso di specie, l’istituto del ricorso diretto per saltum.
In secondo luogo, prosegue la Corte, per poter agire secondo l’istituto previsto dall’art. 360, II comma c.p.c., l’omissione del grado di appello è consentita solo e nel qual caso “le parti sono d’accordo”, dato del tutto assente, e neppure dedotto in ricorso, nel caso di specie.
Il ricorso, pertanto, per i motivi poc’anzi richiamati, non può trovare accoglimento poichè inammissibile.
L’inammissibilità del ricorso ha consentito, inoltre, l’applicazione della misura sanzionatoria contenuta nell’art. 13, comma 1- quater D.P.R. n. 115/02, vale a dire la condanna del lavoratore al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione proposta, oltre ad aver precluso alla Corte investita la disamina delle doglianze svolte dal lavoratore licenziato.

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