Il difficile dicembre di Benedetto XVI

 Non sono tempi facili per la Chiesa cattolica in Italia. Di recente, una statistica ha mostrato come ormai i matrimoni civili vengano preferiti a quelli religiosi, col 53% delle unioni che avvengono in comune e non davanti ad un prete.

Si potrebbe pensare che la crisi abbia colpito anche l’amore, o che i tempi che corrono abbiano cambiato l’approccio dei giovani con la fede, ma non è (solo) propriamente così.

La verità è che l’Italia, per ovvie ragioni di vicinanza e storia, è un paese che risente fortemente degli umori e dei poteri ecclesiastici e l’influenza è spesso biunivoca. Mentre in Francia, recentemente una senatrice ha affermato come la chiesa dovrebbe offrire i propri locali inutilizzati ai clochard, la politica italiana continua a soprassedere circa politiche attive di collaborazione. Ed anche chi chiedeva l’IMU sui beni della curia è rimasto scottato dall’esenzione per le attività no profit, presente in un emendamento della legge di stabilità. Perdita stimata? Intorno ai 3 miliardi di euro, una cifra assai vicina a quella del gettito fiscale dell’IMU sulla prima casa. Si è ancora convinti allora che la crisi dei matrimoni sia solo un caso di fede?

Il difficile dicembre della religione cattolica è stato tuttavia completato da una serie di dichiarazioni poco rasserenanti circa la lungimiranza pontificia. Ad inizio mese, in Vaticano riceveva la benedizione Rebecca Kadaga, presidente(ssa) del parlamento ugandese, la quale a novembre scorso annunciava una sorta di legge contro l’omosessualità. Tra le possibili sanzioni per i “colpevoli”, la pena di morte (the kill gay bill). Il giorno dopo, Benedetto XVI condannava nuovamente le unioni gay dichiarandole una sorta di ferita alla pace, al pari di aborto ed eutanasia. E nel mentre, si scatenava così una battaglia mediatica con Nichi Vendola, tra i più attivi nella lotta per matrimoni ed adozioni omosessuali. Ma perché è mancata una dura presa di posizione da parte della politica tutta?

Qualche giorno fa, inoltre, su un blog molto vicino alla curia è comparso un articolo che ha destato scalpore: rivalutare il femminicidio, facendo autocritica. Purtroppo è ben chiaro che molte volte questi reati avvengono tra le mura domestiche. Imputare le colpe delle violenze ai danni delle donne a loro stesse, è un grave smacco alle secolari lotte per il sessismo. E non possono essere presi come capi d’accusa una scollatura un po’ troppo audace o una gonna un po’ troppo mini. E neanche veline, letterine e quant’altro.

Insomma, da un mese che è cominciato tra i cinguettii di Twitter, ci si poteva aspettare un epilogo decisamente diverso. 

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