Vietti sul caso Expo: il governo passi ai fatti
A più di un mese dallo scandalo Expo e all’indomani delle rivelazioni sul MOSE che hanno portato all’arresto di 35 indagati fra cui il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, in Italia si torna a ragionare di corruzione, da dove nasce, come prevenirla e in che modo combatterla.
A prendere la parola stavolta è il vice presidente del Csm Michele Vietti, che dai microfoni di Radio anch’io, il programma Rai condotto da Ruggero Po, invita un esecutivo troppo silenzioso ad agire non soltanto per slogan ma prendendo provvedimenti in grado di cambiare la rotta. «La magistratura», ricorda Vietti, «interviene a valle del fenomeno corruttivo, quando ormai i buoi sono scappati»; bisogna invece «ripristinare un sistema in cui le barriere contro la corruzione a presidio della legalità vengono prima che i guai si verifichino». Un pensiero condivisibile quello del numero due del Palazzo dei marescialli, il quale parla di una «attitudine alla corruttela che permane nel nostro costume pubblico e privato». Come dargli torto. Ma Michele Vietti non sarà forse lo stesso che nel 2001, da sottosegretario al secondo governo Berlusconi, ha promosso la legge sulla depenalizzazione del falso in bilancio che ha salvato il Cavaliere da due processi poiché «il fatto non è più previsto dalla legge come reato»? Quello del legittimo impedimento, sempre ad personam, poi bocciato dalla Consulta? La stessa persona che nel 2004 voleva ripristinare l’immunità parlamentare? Ebbene sì, lui in persona, che al paragone col passato non ci sta e parla di Tangentopoli come di «un mondo che ci siamo lasciati definitivamente alle spalle». Difficile crederlo, se alcuni nomi coinvolti sono addirittura gli stessi, com’è il caso di Primo Greganti, noto alle cronache d’allora come ‘compagno G’.
Vietti però vorrebbe dirci un’altra cosa, e cioè che rispetto a quanto accadeva un tempo si tratta oggi di «fenomeni meno organici», i quali «in alcuni casi sono riconducibili a singole individualità». Certo, se per ‘organico’ intendiamo ‘di partito’. Ma è la prospettiva ad essere distorta: tali vicende non rispondono più a logiche di partito, soltanto nella misura in cui sono i partiti a non rispondere più alle logiche dello Stato. È la politica ad essersi mossa, non sono le dinamiche dell’illegalità. Un ragionamento che però non possiamo pretendere da chi fino all’altro ieri sedeva in Parlamento tra le file dell’Udc. Sarebbe il caso, allora, che nell’ambito delle riforme costituzionali auspicabili venisse rettificato l’Art. 104 della nostra Costituzione, di modo che non arrivi ad indossare la toga nessuno che abbia precedentemente ricoperto cariche politiche. Come preservare, altrimenti, quel baluardo di ogni Stato democratico che è l’indipendenza della magistratura? Ciononostante, per quanto possano essere modificate in ottemperanza al giusto, anche le leggi, senza l’etica del bene, non possono che essere applicate per fare il male. Si tratta, anche in questo caso, di prospettive.