Ascesa e declino dei “grillini indiani”

Alle elezioni locali di New Delhi, in dicembre, avevano vinto contro ogni pronostico. In pochi mesi, però, il partito dell’Uomo Comune è passato da essere la seconda forza politica del Paese a un clamoroso fallimento alle consultazioni nazionali, in cui non è riuscito a superare un misero 2% in molte zone dell’India. Chi sono i “grillini indiani” e perché hanno perso le elezioni?

 

Il loro mantra è “il cambiamento inizia con le piccole cose”. E il risultato elettorale di dicembre, affatto piccolo, era sembrato l’inizio di una rivoluzione inarrestabile. Come simbolo hanno scelto una ramazza, con cui ripulire le istituzioni da ladri e corrotti, ma a essere spazzato via dai risultati delle urne è stato proprio l’Aap, il partito di Aruind Kejriwal, l’ingegnere meccanico quarantacinquenne prestato all’ispettorato delle tasse. A suon di slogan contro la corruzione, la gestione paludosa dei fondi pubblici e l’egemonia dei due grandi partiti indiani, il Partito del Congresso di Sonia Gandhi e Bjp di Modi, l’Uomo Comune è diventato il volto della lotta sociale. La guerra al malgoverno e il “tutti a casa!“, però, non sono stati gli unici cavalli di battaglia di una campagna imperniata sulla self governance e sulla decentralizzazione. Cavalcando l’iconografia gandhiana, l’Uomo Comune è riuscito nel miracolo: conquistare l’elettorato della capitale guadagnando 28 seggi su 70 all’Assemblea Legislativa di Delhi e la guida di un governo di minoranza. La parabola discendente, però, è iniziata appena quarantanove giorni dopo l’insediamento di Kejriwal come “sindaco” della città. {ads1} Dopo neanche due mesi, infatti, il “Grillo indiano”, ha abbandonato l’incarico in polemica con la legge federale che non gli avrebbe permesso di legiferare indipendentemente, vanificando i suoi tentativi di introdurre misure anticorruzione. Le dimissioni sono state un passo decisivo verso la sua candidatura alle elezioni nazionali, un passo che si è rivelato falso se, come nota Matteo Miavaldi, “l’elettorato di New Delhi, roccaforte dell’Aap, non ha perdonato al proprio leader la caduta del governo locale della capitale”. Come ai grillini nostrani, in molti hanno rimproverato al partito di aver sprecato lo straordinario consenso popolare e di aver portato avanti non tanto le riforme necessarie quanto una linea integralista fatta di continue polemiche e sit-in di protesta. Alla base del crollo delle preferenze, però, non c’è solo la breve esperienza di governo del leader, quanto piuttosto un’incapacità di radicarsi nella società indiana, soprattutto nelle sue zone più rurali, dove le fasce più deboli della popolazione non sono state catturate dalle promesse di repulisti dell’Aap.

L’eccezionale risultato di dicembre è stato reso possibile, tra l’altro, dalla diffusione di Internet e dei social come fonti di informazione tra la popolazione indiana. Attraverso la rete, infatti, l’Aap non solo ha condotto la campagna elettorale, ma ha anche potuto mostrare – grazie alle informazioni acquisite dopo il varo del Right Information Act – la corruzione dilagante nell’apparato dello Stato, ponendosi come baluardo della libertà e della democrazia. L’elettorato di dicembre, però, era prevalentemente urbano e benestante, raggiungibile attraverso il web. L’80% della popolazione chiamata alle urne in occasione delle consultazioni nazionali di maggio, invece, vive nelle campagne in condizioni di indigenza. “Là – spiega Vivek Kumar, professore di sociologia politica all’Università di New Delhi – non si può fare campagna elettorale attaccati al pc”.

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