Ricordi di una strage, Capaci 1992
Memoria: un processo insito nell’uomo che ci permette di far nostri eventi, vissuti direttamente o indirettamente, in modo da conservarli affinché il passato ci dia gli strumenti per interpretare il presente. Un misto di visivo e sensazioni. La fotografia di un momento, di un valore più grande messo a disposizione di chi sa coglierlo. E questo è uno di quei momenti dove bisogna fermarsi, ricordare.
Un sabato di maggio di 22 anni fa l’Italia tutta si gelò davanti mamma televisione, davanti un massacro, davanti una pesantissima sconfitta.
Un’esplosione aveva messo fine alle vite di Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Era la strage di Capaci. “Già si vedeva come un cadavere” ha raccontato in più occasioni la sorella Maria Falcone. Una condanna a morte emessa nello stesso momento in cui la Corte di Cassazione confermò le condanne del maxiprocesso nel febbraio del ’92. Aveva dato ragione, dopo anni di isolamento, lavoro, indagini e peripezie, al giudice solitario. Lo Stato tutto, in tribunale, ma anche nelle piazze e negli animi dei cittadini, aveva vinto. Centinaia di boss dietro le sbarre per opera di Falcone e dei suoi collaboratori. Un duro colpo alla mafia, offesa nei numeri e nell’orgoglio.
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E si inaugurò la stagione delle stragi, delle vendette. Questa è storia. Una storia amara perché il sacrificio umano di Falcone, e di molti altri che si sono immolati per il dovere di cambiare le regole della corruzione e della violenza, è molto più che una vita persa. É un segnale allo Stato, ai cittadini. É un invito a non spingersi troppo in là. Ci sono legami che non vanno svelati. Difficile difendersi dai proprio nemici, ancor più difficile difendersi da chi dovrebbe difendere te. Anche questa è storia. La violenza ha voluto insegnarci che ci sono meccanismi che vanno lasciati al loro posto perché la mafia ti confonde e poi ti presenta il conto. E lui sapeva: “Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”. Ed ora l’Italia non può sfuggire alla memoria e non può non vedere quelle auto e quei corpi sacrificati sulla strada per Capaci. Un grazie è doveroso perché questi uomini, con le loro vite, ci hanno messo davanti ad un fatto: lo Stato quando mette in campo le sue forze e le sue menti migliori può ancora vincere. Ricordiamolo oggi.
@MariaChiaraPier