Slingshot, l’instant messaging usa e getta

Snapchat dice no? Allora ecco Slingshot, la risposta di Zuckerberg al servizio di messagistica istantanea che sta spopolando tra i teenager americani e che i suoi fondatori, Evan Spiegel e Bobby Murphy, si sono rifiutati di vendergli, respingendo l’offerta di 3 milioni di dollari arrivata lo scorso novembre.

A diffondere la notizia è il Financial Times, secondo il quale la nuova applicazione potrebbe essere lanciata già a partire da questo mese. Slingshot – che in italiano possiamo tradurre “fionda”, “catapulta” – consentirebbe come il suo rivale di inviare contenuti destinati ad essere autocestinati nel giro di pochi istanti. Un altro nome che offre lo stesso servizio è Blink, non a caso rilevata qualche giorno fa dal colosso Yahoo!.

 

Come funzionano queste applicazioni? Ve lo ricordate il refrain di Mission Impossible? «Questo messaggio si autodistruggerà entro cinque secondi». Ecco, più o meno. Solo che nella fortunata serie di film che ha per protagonista l’agente Ethan Hunt (Tom Cruise), l’eliminazione aveva luogo con tanto di effetti scenici e spettacolari esplosioni, come nella miglior tradizione dell’action movie di firma americana. Stavolta invece tutto avviene nel modo più discreto: la foto o il messaggio di testo appaiono sullo schermo del nostro smartphone e dopo pochi secondi (la durata può essere selezionata da chi ci invia il messaggio) puff, scompaiono nel nulla. Ma le cose stanno proprio così? Anche stavolta, non proprio. Ad esempio basta un semplice screenshot perché i nostri contenuti vengano memorizzati sul dispositivo di chi li riceve. Si possono applicare dei correttivi, e Snapchat, ad esempio, provvede in questo caso a mandare un avviso direttamente al mittente, ma è chiaro che ormai i giochi sarebbero fatti, e la presunta volatilità delle informazioni bella che sconfessata. In secondo luogo non possiamo mai essere certi, a dispetto di quanto dichiarato, che il sistema non registri e trasmetta i nostri dati per secondi fini. Uno di questi è la geolocalizzazione, ed è proprio quanto si è verificato con la stessa Snapchat, ammonita due settimane fa dalla Federal Trade Commission – l’antitrust americana – affinché chiarisca le proprie politiche in fatto di privacy. E se non possiamo dare troppo credito ad una start up che ha fatto di questa parola il proprio trend aziendale, come fidarci di un’impresa che si regge quasi interamente sull’utilizzo dei Big Data?

Ma anche le filosofie sono diverse. Facebook ha fatto leva sul concetto di permanenza, di luogo in cui le persone possano tenere quotidianamente un diario della propria vita. La timeline appunto, perché individua nel tempo la sua coordinata fondamentale. Non è un caso che per festeggiare i suoi dieci anni di attività proprio quest’anno Facebook abbia regalato ai suoi utenti un video che sintetizza i momenti più belli della loro vita sul social network. Anche in questo senso face-book, cioè libro, fatto di segni che rimangono. Cos’ha in comune questo modello con uno in cui viene fatta costantemente tabula rasa di ogni cosa che passa davanti ai nostri occhi? O si ha soltanto paura di perdere il bacino di utenza degli adolescenti, che secondo i dati si stanno spostando verso queste nuove forme di comunicazione? Staremo a vedere, sempre che prima non venga cancellato tutto.

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