Odessa (Video) e la guerra in Europa

Ieri il segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon  ha rilasciato una dichiarazione offrendosi,  se sarà necessario, di condurre personalmente i negoziati di pace in Ucraina, dimostrando di essere una delle poche figure istituzionali ad aver compreso e dichiarato apertamente che la guerra civile è già  in corso.

Sul massacro di Odessa la stampa e le TV italiane ci stanno informando poco e male, ma le immagini che probabilmente non avete visto possono essere reperite in tutta la loro atrocità in rete. Il bilancio della strage di Odessa è di almeno quaranta morti, molti bruciati vivi, altri lanciatisi dalle finestre per fuggire alle fiamme come mostra questo video, altri ancora finiti a bastonate non appena atterrati sul selciato in questo secondo filmato, infine, è facile reperire le foto dei corpi carbonizzati,  freddati a bruciapelo da colpi di pistola e strangolati all’interno dell’edificio.  L’opinione pubblica europea può non prenderne atto, ma i russi e i filo-russi ucraini stanno vedendo queste immagini e non le dimenticheranno, a  Odessa nasce lo spettro di una nuova Jugoslavia.

 La regione del porto di Odessa si trova nell’Ucraina meridionale ed è, tra le aree in cui la popolazione di lingua russa è  maggioritaria, la più lontana geograficamente dal confine russo, rappresenterebbe dunque il confine occidentale di un’eventuale Ucraina autonomamente secessionista da Kiev oppure invasa/liberata dalle truppe di Putin. Per quest’area passa il gasdotto meridionale verso la Bulgaria, l’unico che raggiunge l’Europa senza attraversare regioni solidamente in mano al governo di Kiev: se guerra sarà è fin qui che si spingerà l’eventuale l’avanzata delle truppe di Putin. Truppe attualmente schierate al confine orientale (si parla di 40000 uomini, ufficialmente lì per un’esercitazione)  dove al contrario di Odessa, il governo di Kiev non si sta affidando ai suoi sgherri estremisti ma ha lanciato un attacco militare con l’esercito regolare contro quelli che definisce ‘terroristi’. Si tratta della fazione filo-russa guidata da uomini come Denis Pushilin, che oggi non riconoscono il governo transitorio di Kiev esattamente come quest’ultimo poche settimane fa non riconosceva quello democraticamente eletto di Yanukoviych. Nell’attacco, tutt’ora in corso, sono morti nei giorni scorsi oltre 30 insorti filo-russi, 4 soldati ucraini e sono stati abbattuti almeno 3 elicotteri di Kiev.  Le città orientali sotto  assedio (per prima Sloviansk dove si svolge da giorni una dura battaglia) rischiano, a detta di Mosca, una crisi umanitaria per assenza di cibo e medicine. Sempre Putin  dopo il rogo di Odessa  si è affrettato a dichiarare che  ‘la Russia non controlla più i filo-russi dell’Ucraina Orientale’, la frase deve essere letta nel seguente modo: ‘non esagerate o sciolgo i cani’.

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La crisi non è questione interna Ucraina e non è in nessun modo limitata esternamente alla Russia. Se è vero come denunciano i governi occidentali che agenti e militari del cremlino sono da tempo a Donetsk è anche vero, come ha scritto ieri la stampa tedesca, che decine di esponenti della CIA e di altre agenzie occidentali stanziano a Kiev fin dall’inizio della crisi in cui, non va dimenticato, leader americani ed europei del calibro di McCain e la Ashton hanno appoggiato  fin dall’inizio (recandosi in loco ad arringare le folle) i golpisti di piazza Maidan.  Il governo ucraino è in bancarotta e deve alla Russia miliardi di dollari per forniture di gas non pagate, forniture che lo zar ha già annunciato che verranno interrotte  se prima non verrà saldato il pagamento degli arretrati. A Kiev contano su un prestito del FMI, organismo da sempre controllato da Washington,  di circa 17 miliardi di dollari, che sembra però essere vincolato all’effettivo controllo di Kiev sull’Ucraina orientale, cioè alla riuscita dell’operazione militare in corso.  Sullo sfondo e in uno scenario geopolitico più ampio c’è l’eccedenza energetica nordamericana derivante dai nuovi giacimenti di gas di scisto, che dovranno trovare un mercato di sbocco vasto e affidabile come quello europeo è candidato ad essere. Non è forse un caso che si stia accelerando per chiusura del TTIP, il nuovo accordo commerciale USA-UE, rimasto a lungo segreto, che a quanto se ne sa permetterà alle multinazionali di sollevare procedure di infrazione verso gli stati sovran che non dovessero rispettarlo a pieno. Non è forse un caso neppure che ieri il ministro Guidi abbia annunciato ai media l’interesse italiano per il gas canadese, che dovrà essere liquefatto oltreoceano, trasportato via mare e rigassificato sulle nostre coste negli anni a venire.  Un piano energetico nazionale, possibilmente incentrato sul risparmio e le energie rinnovabili, continua a non essere elaborato da nessun governo italiano, ma la diversificazione delle fonti fossili in vista di una nuova guerra fredda sembra essere la priorità di tutto l’asse euro-atlantico. Questione di rilevanza strategica certo, che, nella testa di qualcuno, val bene il ritorno della guerra in Europa, quella guerra che la costruzione eurocratica avrebbe dovuto scongiurare per sempre.

Il quadro evolutivo si avrà probabilmente in meno di un mese: il 9 maggio la data sensibile della festa  di liberazione dal nazifascismo, l’11 si svolgerà a Donetsk il referendum indipendentista sulla falsa riga di quello in Crimea,  il 25 maggio, infine, il governo di Kiev si dice ancora intenzionato a far svolgere le elezioni politiche di una nazione che già non è più tale.

di Daniele Trovato

Twitter: @aramcheck76

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