Libri: “Non si può morire la notte di Natale” di Enrico Ruggeri

“Mi vedo dall’alto. La testa riversa sul tavolo, la guancia sinistra appoggiata sulla tovaglia… Dalla bocca mi esce del sangue e ho una rivoltella in mano. Vorrei urlare ma non ci riesco”. Enrico Ruggeri presenta il suo primo giallo che tanto giallo non è. Il genere è questo, almeno all’inizio, ma poi l’analisi psicologica prende il sopravvento.

 Così Enrico Ruggeri descrive Non si può morire la notte di Natale, avvincente e sintetico. Siamo a La Feltrinelli di Roma e il romanzo cade a pennello col periodo natalizio nonostante non sia poi così “natalizio”.

24 dicembre, classico cenone, una famiglia, quella di un uomo: Giorgio Sala. È lui il protagonista, è lui che si ritrova “suicidato” la notte della vigilia. Un particolare è che Giorgio “non è mai stato sfiorato dall’idea di uccidersi” e inizia così una lunga indagine sull’accaduto e sulla sua vita. Quella di un uomo dal passato successo professionale e coniugale, se si vuol definire successo. Tra sconvolgenti rivelazioni, il protagonista perde la voce, fonte del suo successo, e la capacità di movimento. “L’ho costretto a cambiare l’idea dei rapporti interpersonali, ad ascoltare gli altri e a pensare veramente alla sua vita, alquanto raro al giorno d’oggi” dice l’autore che colpisce delle verità naturali quanto scomode. Tra ambivalenza e ipocrisia, il tema del suicidio, inquietante e ipnotico, è come una salsa agrodolce: stranamente ci sta bene.

Non è un caso che tutto cominci – e finisca – la notte di Natale, l’unico giorno in cui si riunisce la famiglia
Sala, ex moglie compresa. È il giorno in cui “tutti recitano”, l’arma di una mamma non è più il senso di colpa così come cambia l’umore di due figli noti per l’autentica capacità di “sputare nel piatto in cui mangiano”. Pochi personaggi, ancor meno i luoghi, ma tutto è perfettamente sincronizzato e studiato nel dettaglio. Ogni personaggio è ben definito e si imprime nella mente del lettore che nel frattempo ancora non si è accorto di aver iniziato il romanzo. Sicuramente più teatrale che cinematografico, “Non si può morire la notte di Natale” potrebbe ricordare il film Carnage di Roman Polański. E così si dà il via al “grande teatro dell’ipocrisia”, una storia audace, coinvolgente e schietta.

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