Erri De Luca alla X edizione del Festival delle Letterature dell’Adriatico

download erriAll’entrata dell’auditorium Petruzzi di Pescara c’è tanta gente. Le porte sono chiuse. La sala è già ricolma. Piove. Tutti vogliono entrare, ma non tutti ci riescono. Siamo davvero tanti. Riesco ad intrufolarmi. Sono passate da poco le sette e lui non si vede.

Nel frattempo c’è un’altra presentazione, una roba sull’economia, il capitalismo, la crisi. Non fa per me. Stacco il cervello e provo ad immaginarlo. La sua faccia l’ho vista più di una volta in fotografia e in TV ma non ricordo la sua voce anche se l’ho immaginata più volte mentre leggevo le storie che ha scritto. I libri vanno letti con la propria emotività ma con la voce di chi li ha scritti.

C’è un flusso continuo tra la sala e l’uscita, l’uscita e la sala. Escono con l’espressione di chi è curioso e rientrano con un sorriso. Erri De Luca è arrivato: sta parlando con tutti quelli che non sono potuti entrare e che non ascolteranno l'”intervista”. E’ uomo alto come, non so perché, non immaginavo, magro,e ha il viso marcato dalle rughe di chi oltre a raccontare storie, le storie le ha vissute. Il dispiacere di chi non è riuscito ad entrare si affievolisce, anche loro hanno avuto la loro parte. Si, perché quest’anno al Festival delle Letterature dell’Adriatico è stato sicuramente lui l’ospite più atteso e proprio per lui l’organizzazione di Mente Locale ha pensato ad una cosa speciale, un po’ diversa. Chi ha qualche curiosità riguardo l’autore napoletano ha la possibilità di rivolgergli una domanda e lui risponde con più o meno ironia ma sempre con un sorriso che si stende sotto i baffi.                                                                                                                                  Erri si definisce un “narratore” di storie e non uno scrittore, riesce a scrivere solo sui “fatti suoi” e non ad inventare storie di altri. Lo scrivere è sempre stato per lui tempo salvato dal tempo del lavoro, contrappeso pratico e psicologico alla giornata venduta per salario. “Quando arrivo a scrivere, quella pagina si è già rigirata nel mio corpo ed è grande il desiderio di arrivarci davanti a quella pagina. Facevo il manovale, arrivo alla scrittura che ho già sudato, non è un lavoro per me. Quando sento della crisi davanti alla pagina bianca non capisco. La pagina deve essere bianca, che la vuliv’ trovà già scritt’?”. La platea scoppia in un sorriso come molte volte capiterà durante questa serata. “Tutte le mie storie provengono dalle voci. Le voci delle donne. Sono stato abituato da loro all’ascolto , sono quelle che si raccontavano di più. Spesso ricordavano delle loro sventurate esperienze della seconda guerra mondiale. Il più grande dramma umano di sempre. Sono cresciuto in quest’educazione acustica e sentimentale”.                                                                                              Erri non si è seduto sulla poltroncina che lo aspettava, ma sul banchetto davanti alla pubblico. E’ più vicino, si racconta e parla con chi abbia voglia di farlo. All’ espressione cosi seria, ai suoi occhi chiari che sembrano guardare di più e alle parole delle sue storie sempre così sapienti e affascinate si accompagna un’ironia “tutta napoletana”, come lui stesso la definisce. E’ un uomo “leggero”, scherza molto, è napoletano e sul suo dialetto ricorda delle parole che ha scritto anni fa. “Il prima e il dopo diventano primm e dopp, e contano molto più del presente, che è solo mò. L’amore vale di più, perché è ammore. Il sangue, che è o’sang vale di meno di un bicchiere d’acqua…L’italiano è la lingua che mio padre voleva si parlasse a tavola con lui, è venuto secondo e per questo ne faccio un uso diverso.  Il napoletano l’ho imparato prima ed è quello che presiede ancora i miei scatti emotivi”. Qualcuno dal pubblico chiede se i suoi personaggi li abbia davvero incontrati. “Li ho conosciuti, vissuti, e spesso anche dimenticati. Ne ho scritto perché sono improvvisamente tornati alla memoria in una sorta di “denotazione”. La memoria è un petardo, è lo scoppio di un dettaglio che mi fa luce su un momento, su delle persone. Io per fare durare un ricordo lo scrivo. Il ricordo si prolunga. Dura. Sta con come. Un elemento del passato ritorna, ha una seconda possibilità. Scrivendone le persone si scambiano delle cose che non si sono scambiate in vita. Perché quando la vita corre non si riesce a catturarne cose intense. La scrittura è come un liofilizzato. Rimane solo l’asciutto. L’essenziale. Come una pozza salina dalla quale è evaporata l’acqua e rimane il sale salmastro. Il passato non posso cambiarlo ma posso fare avvenire una conoscenza più intensa. Grazie alla scrittura, la vita torna una seconda volta”. 

Il suo ultimo libro La doppia vita dei numeri è un testo teatrale che si “differenzia dalle altre storie perché è una storia senza narratore. Sono direttamente le voci delle persone che fanno avvenire la storia, non c’è più il narratore”. I numeri hanno una vita doppia, è proprio così, chi ha giocato a tombola lo sa: c’è il numero e il suo significato che si collega a ricordi, a momenti. Erri studia l’ebraico antico, non ci sono numeri e si usa l’alfabeto per riferirsi ad essi. ” C’è questa combinazione ogni parola corrisponde ad un valore numerico. E’ la Qabbaláh. Due parole che hanno lo stesso valore numerico hanno una vita segreta che va esplorata. La divinità in ebraico ha valore numerico uguale alla parola “amore”. Questa divinità è arrivata ultima, prima c’era il politeismo. Eppure estirpa tutte le altre, attraverso la macchina misteriosa che è il sentimento amoroso”. Erri non crede, esclude la divinità dalla sua vita ma non da quella degli altri. Non è ateo. Dice che a lui non è arrivata una delle tante notizie che agli altri sono arrivate. Quando scrive non pensa già a chi lo leggerà, ai suoi lettori: “Se scrivo a qualcuno scrivo a quelli che sono scomparsi, è un modo per sentirli vicini. Mi sento molto sorvegliato dalla pernacchia di mio padre. Faceva delle pernacchie da tenore che non mi ha mai voluto insegnare. Non stava bene che anche io le facessi, poi ho fatto delle cose molto più “lazzarone” di una pernacchia. Ecco la pernacchia di mio padre quando scrivo sta come un pappagallo sulla mia spalla, quando la pagina si inizia a infervorare, la pernacchia di mio padre arriva a sterilizzarla”.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *