Campo De’ Fiori va dritto al cuore della romanità
“Campo De’ Fiori”, commedia musicale scritta da Gianni Quinto e Rodolfo Laganà, è un omaggio alla romanità verace, genuina, che sopravvive indenne ai cambiamenti generazionali.
La piazza che dà il titolo all’opera è un multiforme simbolo capitolino: mercato di giorno, epicentro della movida romana di notte. Nessuno sfugge all’occhio vigile di Giordano Bruno, la cui statua rivolta verso le mura Vaticane ci ricorda quanto preziosa sia la vera libertà.
Nella gremita platea del Sistina, poco prima del debutto nazionale, numerosi volti noti dello spettacolo accorsi ad omaggiare questo tributo all’Urbe: Marzullo, Baudo, Encontrada, Magalli… e il mentore Gigi Proietti, primo insegnante di Laganà.
Ecco che si apre il sipario: una scenografia meticolosa ci riporta subito al centro della piazza, dove i non più giovani nemici-amici Cesare (Laganà) e Claudia (Milena Miconi) si dividono la clientela tra frutta di stagione e fiori freschi. Sognatore l’uno, troppo realista l’altra, i due sembrano guardare in direzioni opposte. Cesare ha un sogno nel cassetto che però stenta a rivelare agli altri, mentre Claudia, sedotta e abbandonata con una figlia in grembo, cerca soltanto un uomo che sia disposto a ricreare con lei una famiglia. Nessuno intende però lasciare Campo De’ Fiori.
Ecco però che il sor Tiberio (Tonino Tosto), padre di Cesare, decide di vendere la casa di famiglia e con i soldi andarsi a godere la pensione in una località di mare. Una sveglia che riporta il sognatore con i piedi per terra, e lo costringere a prendersi responsabilità fino a quel momento evitate.
Lottare per rimanere nell’amata piazza o scomparire per sempre, senza essersi mai dichiarato a Claudia?
Una trama che per giusta semplicità si adatta ad un testo multiforme: si passa da serrati e ironici battibecchi a momenti di spensierate stornellature e caratterizzazioni dialettali. Le esibizioni canore dal vivo, che dovrebbero rappresentare un valore aggiunto, finiscono per essere l’unica stonatura di un copione spensierato e volutamente frizzante. Poca cura anche nelle coreografie dei ballerini, apparentemente scoordinati ma capaci di creare gran confusione ai piedi di Giordano Bruno. Forse proprio questo era lo scopo della loro presenza in scena.
Una commedia piacevole, in cui il prevedibile finale riabilita le speranze di una Roma in cui, cambiano i tempi, ma rimane indenne la voglia di sognare.