Cento anni di Universal Pictures, “A walk in the park”, “Identikit”
È ufficiale. Il Festival Internazionale del Film di Roma è iniziato. È il primo giorno, venerdì 9 novembre e prendendo alla larga la sede ufficiale del festival – Auditorium Parco della Musica – non si può fare a meno di passare per il centro della capitale.
Precisamente alla Galleria Alberto Sordi dove la Universal Pictures celebra cento anni di memorie cinematografiche esponendo venti foto di scena dei film che hanno fatto la storia del cinema. E così si passa da un Al Pacino in “Scarface” all’alieno dalla testa schiacciata più famoso del mondo – “ET” per chi non l’avesse afferrato – arrivando ai temibili(ssimi) “Dracula”, “Frankenstein”, “Il Fantasma dell’opera” e “Gli uccelli” senza tralasciare “Bastardi senza gloria”, “Il gladiatore” e “Schinder’s list”. Una semplice esposizione, forse anche troppo. Degna del centenario della Major più antica dell’industria mondiale dell’entertainment?
Tornando all’Auditorium Parco della Musica. Il primo film proiettato è stato definito un docu-dramas, opera della mente – alquanto folle – dello statunitense Amas Poe che presenta “A walk in the park”. Dal titolo ci si immagina una serena passeggiata al Central Park di New York. Certo. Come no. Ambiguità, ansia, disgusto, follia, timore. È sufficiente? Un film “di fantascienza, uno psichedelico viaggio di ritorno al grembo materno” la cui colonna sonora è quel piacevole ronzio delle mosche. Sì, proprio quello. “A walk in the park” è diviso in capitoli, ognuno dei quali corrisponde a una fase della vita del protagonista, un bambino-ragazzo-e in seguito uomo affetto da depressioni e disturbi mentali. Il tutto legato alla sua condizione familiare, in particolare quella con la madre.
Avete presente il rapporto tra Norman e la madre in “Psycho” di Alfred Hitchcock? Uguale. Aggiungeteci un padre assente e un fratello tanto meno. Tra realtà e finzione, il film si inoltra in una “discesa vorticosa dentro l’abisso del sé” tra comportamento e linguaggio, logica e mente. L’ultima proiezione del primo giorno del Festival Internazionale del Film di Roma è “Identikit” ambientato in una “Roma a metà tra un incubo di Kafka e un quadro di De Chirico”. Franz Kafka: allegorico, angosciante, magicamente realistico – o se preferite realisticamente magico – e assolutamente smarrito. Giorgio De Chirico: arduo, colorato, inquietante, geometricamente astratto – e viceversa – e assolutamente metafisico. Questo è “Identikit” di Giuseppe Patroni Griffi. È la storia di una donna che “vuole prendersi solamente un riposo definitivo, cioè morire”.