Afghanistan: la terra delle promesse infrante
Continua ad imperversare il caos presso l’aeroporto di Kabul. Migliaia di civili continuano la loro disperata corsa verso gli imbarchi per lasciare il paese. Questa mattina i talebani hanno fatto ricorso a bastoni e spari in aria per disperdere la folla. Ad oggi le vittime della corsa disperata verso gli imbarchi salgono a venti, sette solo nelle ultime ore. E mentre i talebani danno la colpa agli USA del caos nei pressi dell’aeroporto affermando “L’America, con tutta la sua potenza e le sue strutture non è riuscita a portare l’ordine all’aeroporto. C’è pace e calma in tutto il Paese, ma c’è caos solo all’aeroporto di Kabul”, il premier britannico Boris Johnson annuncia per martedì una riunione del G7 per discutere della crisi afghana: “E’ vitale che la comunità internazionale lavori insieme”.
Nel frattempo le promesse fatte dai talebani durante la conferenza stampa tenuta il 17 agosto non tardano ad essere infrante: “Questo è un momento di orgoglio per l’intera nazione. Dopo 20 anni di lotte abbiamo liberato l’Afghanistan ed espulso gli stranieri”, ha affermato il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid davanti alle telecamere. “I talebani hanno perdonato tutti, sulla base di ordini dei loro leader, e non nutrono inimicizia nei confronti di nessuno. Vogliamo assicurarci che l’Afghanistan non sia più un campo di battaglia, non minacceremo alcun Paese. Non vogliamo nemici, perdoniamo tutti. Nessuno perquisirà le case di chi ha collaborato con gli stranieri, nessuno li interrogherà o darà loro la caccia. Sarà garantita la sicurezza delle ambasciate straniere.” Per quanto riguarda le donne, parte estremamente esposta e vulnerabile tra i civili:” Ci impegniamo per i diritti delle donne all’interno della Sharia. Le donne potranno avere attività in settori e aree diverse, come l’educazione e il sistema sanitario, lavoreranno spalla a spalla con noi. Se la comunità internazionale è preoccupata, assicuriamo che non ci saranno discriminazioni all’interno della nostra cornice di Sharia. Le nostre donne sono musulmane e saranno quindi felici di vivere dentro la cornice della Sharia. Permetteremo alle donne di studiare e lavorare all’interno della cornice della Sharia, saranno attive nella società ma rispettando i precetti dell’Islam. Le donne sono parte della società e garantiremo i loro diritti nei limiti dell’Islam”.
Cinque giorni dopo
Haji Mullah Achakzai, il capo della polizia della provincia afgana di Badghis, vicino a Herat, è stato giustiziato dai talebani lo scorso mercoledì. Gli studenti della legge coranica hanno diffuso il video dell’uccisione attraverso una rete collegata ai talebani. Achakzai è stato preso di mira perché era un alto funzionario dell’intelligence che ha combattuto a lungo contro i talebani.
Ad alcune giornaliste è stato impedito di esercitare la loro professione. A denunciarlo è Tolo News che ha riportato il racconto di Shabnam Khan Dawran, della Radio Televisione afghana, che ha asserito che i Talebani non le hanno consentito di entrare in ufficio: “Volevo tornare al lavoro, ma purtroppo non me lo permettono – ha affermato Dawran – Mi hanno detto che il regime è cambiato e non posso lavorare”. Lo stesso è accaduto a Khadija, altra giornalista della Rta. Anche Khadija ha denunciato di essere andata in ufficio, “ma non mi hanno fatto entrare. Abbiamo parlato con il nostro nuovo direttore che è stato nominato dai Talebani. C’è stata modifica nei programmi, trasmettono i programmi che vogliono loro e non ci sono conduttrici e giornaliste donne“.
A Clarissa Ward, giornalista dell Cnn, è stato intimato di coprirsi la faccia mentre lavorava a Kabul. In prima battuta è stato intimato alla troupe di cessare le riprese, poi è stato intimato alla donna, che già indossava un velo che le copriva il capo, di coprirsi la faccia. L’emittente americana ha postato un video su Twitter in cui si vede una vera e propria aggressione quando alcuni civili si avvicinano ai giornalisti per chiedere aiuto.
Nonostante le promesse di tolleranza e perdono continuano i raid armati porta a porta, i talebani vogliono di capire chi ha collaborato con ong internazionali e associazioni.
Per anni i talebani sono stati nel mirino degli eserciti mondiali, ma questo non li ha fermati dal coltivare i rapporti con la stampa occidentale. A spiegare questo meccanismo è Omar Sharifi, antropologo ed ex direttore dell’American Institute of Afghanistan Studies di Kabul. L’origine di questo approccio risale agli anni Ottanta, quando diversi leader islamisti che si opponevano all’occupazione sovietica dell’Afghanistan iniziarono a crearsi il loro personale ufficio stampa per legittimarsi agli occhi dei media occidentali e, allo stesso tempo, disseminare meglio il proprio messaggio in maniera apparentemente moderata.
Oggi l’Afghanistan risulta essere una terra tradita, in cui a regnare davvero, forse, sono solo i cocci di tutte le promesse infrante che hanno invaso questo paese. Qualcosa di così radicato come le ideologie Talebane non si estirpano con occupazioni militari e guerriglie. Nel XXI secolo avremo dovuto aver già capito da tempo che per cambiare un popolo, una comunità, bisogna instillare una coscienza comune. Questo è stato fatto con il popolo afgano, che nel corso degli anni ha imparato ad accogliere e ad accettare determinati aspetti della presenza occidentale. Ne sono un esempio tutti i traguardi raggiunti dalle donne afgane, anche grazie ad onlus come Fondazione Pangea Onlus, che è al fianco delle donne afgane dal 2003.
E’ lecito non dare credito ai rappresentanti talebani, la storia ce lo ha insegnato ed i fatti in continua evoluzione ce lo stanno dimostrando; ma non potrebbe dire lo stesso il popolo afgano delle potenze occidentali?
Forse ormai non si può tornare indietro sulle decisioni prese, non si può imporre un’inversione di marcia se non con un’altra guerra. Ma in termini di costi, economici e di vite sopratutto, le potenze occidentali sono ancora disposte a perderci? Probabilmente no.
Resta un dovere civile consentire a tutte le persone vulnerabili, ma anche a quelle che semplicemente non condividono le ideologie alla base del movimento talebano, di andare via in sicurezza. Se non vogliamo combattere una battaglia “che non ci appartiene”, se non ci sentiamo in dovere di imporre la democrazia, perlomeno agiamo noi secondo questa stessa democrazia che ci porta a credere che l’unica forma di governo accettabile sia quella in cuiil potere viene esercitato dal popolo, tramite rappresentanti liberamente eletti.
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