Approvato il Recovery Plan. Il bello viene adesso

Con le riforme strutturali collegate al PNRR l’Italia si gioca il tutto per tutto. Come ci vedono Germania, Francia e Stati Uniti

Con il voto in Senato di ieri sera il Governo ha conseguito il primo degli obiettivi per i quali era nato lo scorso 13 febbraio: l’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’ormai famosissimo PNRR. L’impegno di inviarlo a Bruxelles entro il 30 aprile sarà dunque rispettato. Una scadenza fondamentale, non solo per la tempistica delle erogazioni ma anche per blindare la quota di finanziamento riservata all’Italia, che essendo legata anche all’andamento del Pil nazionale era a rischio di ulteriore diminuzione.

Cosa succede adesso

I numeri, come è giustamente stato sottolineato, sono da capogiro: oltre 200 miliardi di provenienza comunitaria più ulteriori fondi nazionali per 30 miliardi sono la storica occasione per l’Italia di uscire da una fase di stentata crescita ormai trentennale. Ma la parte più difficile arriva ora.

La scarsità di risorse, infatti, non è stata sempre il principale problema italiano. Anni di fondi comunitari tornati a Bruxelles hanno dimostrato che il principale limite italiano risiede nella scarsa capacità di spesa della sua amministrazione: burocrazia lenta, scarse capacità progettuali, annosi ricorsi e corruzione hanno fatto sprecare miliardi di euro che i programmi comunitari avevano già reso disponibili. Per questo motivo l’approvazione del PNRR è legata alle altrettanto famose riforme strutturali che il paese non è mai riuscito ad approvare – giustizia, burocrazia, semplificazioni, codice degli appalti – e alla gestione della fase di realizzazione del programma: monitoraggio, rendicontazione e trasparenza.

Fino ad ora la strada di Draghi è stata relativamente spianata. Si veniva da una bozza di Recovery Plan già predisposta dal governo Conte, e la scadenza di fine aprile ha agito da deterrente per eccessive tensioni politiche nella maggioranza. Che infatti si è divisa più su altre questioni (aperture e coprifuoco, disegno di legge Zan, mozione di sfiducia a Speranza) che non sul PNRR e la sua governance. Temi che pure erano stati alla base della crisi di governo aperta a dicembre scorso.

Ora si passa a una fase nuova. A maggio è atteso il varo dei primi provvedimenti su riforma di processo penale, prescrizione, semplificazioni e appalti pubblici; a giugno sarà il momento di riforma del CSM, misure di contrasto alla corruzione e decreto su incentivi alle imprese; a luglio sono attesi disegni di legge su riforma IRPEF e sistema tributario, oltre che su mercato e concorrenza. Limitandoci ai solo tre mesi prossimi. Un calendario fittissimo e pieno di insidie per una maggioranza di emergenza, che ha numeri parlamentari schiaccianti ma visioni e interessi molto diversi.

Il quadro internazionale

Sul piano delle relazioni internazionali, va ricordato come il Next Generation EU segni una svolta epocale rispetto alla storica reticenza delle ‘formiche’ a garantire per le ‘cicale’. In altre parole, se la Germania (con al seguito Paesi Bassi, Austria e gli altri cosiddetti virtuosi) ha di fatto accettato di usare parte dei suoi soldi per salvare gli italiani è perché i danni economici di un fallimento dell’Italia, considerato sempre dietro l’angolo,  sarebbero per lei ancora peggiori: metà paese – tutto il centro nord della Penisola – è infatti fornitore dell’industria tedesca. Il PNRR è considerato dunque l’ultima spiaggia per salvare l’Italia, paese eternamente in crisi.

Gli Stati Uniti vedono la manovra con una certa freddezza. Agli storici motivi di diffidenza nei confronti della Germania, sempre sospettata di disegni egemonici, si aggiunge un atteggiamento tedesco nei confronti di Cina e Russia che gli americani considerano pericolosamente morbido. Per questo, a bilanciamento tedesco, non disdegnano un rafforzamento in chiave filoatlantica e neokeynesiana dell’asse tra Francia e Italia: di cui Macron, Draghi e ora anche Enrico Letta, fino a pochi mesi fa docente a tempo pieno di Sciences Po a Parigi, sono considerati dei punti fermi. In questo senso andrebbe anche vista la svolta francese che ha consentito di arrestare, dopo decenni di latitanza protetta, sette ex terroristi italiani.

Il Recovery Plan è dunque stato approvato. Ma tra riforme interne ed equilibri internazionali, ora per ‘Supermario’ inizia il vero lavoro.

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