Rifiuti in Tunisia, l’Italia fa finta di niente
Draghi in Libia tenta di uscire dall’isolamento mediterraneo. Intanto, l’Italia porta in Tunisia l’immondizia che non sa come gestire
Della visita di Draghi in Libia si è sottolineato, oltre all’infelice frase sulla ”soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi”, come sia stato il primo premier europeo ad arrivare a Tripoli.
Non si tratta di un primato di poco conto. L’instabilità estesa da ormai più di un decennio all’intera sponda sud del Mediterraneo è un problema per l’Europa intera, ma in modo particolare per l’Italia. E non solo per la nota questione migratoria.
Caos nel ‘mare nostrum’
Il venir meno di partner stabili ed affidabili, oltre che in Libia anche in Tunisia, Egitto, Libano e Siria – si salva, parzialmente, l’Algeria – ha spostato il baricentro europeo e italiano ancora più a nord, condannando il Mezzogiorno d’Italia a un’ulteriore marginalità. Ha prodotto dei vuoti che sono stati riempiti da Turchia e Russia, che ora sono presenti con le loro milizie più o meno regolari a poche miglia dalle acque italiane. Ha esasperato quel ‘terrore del mare’, ovvero la tendenza a non sfruttare la propria vocazione marittima, che per un paese peninsulare come l’Italia vuol dire rinunciare a economie, traffici, occupazione, dinamismo e cultura. E poi c’è l’eterno tema dell’approvvigionamento energetico, per cui la dipendenza da paesi instabili, non governati o perfino aggressivi è estremamente pericolosa.
Temi su cui gli interessi strategici dell’Italia non sempre sono coincisi con quelli, ad esempio, di Francia e Gran Bretagna. Contrasti che che dal secondo dopoguerra hanno generato tensioni sfociate in guerre fredde, attentati, stragi di stato, golpe e cambi di regime, ma che in altri tempi avrebbero causato delle vere e proprie guerre frontali. Uno scenario che non a caso si è condensato in particolare tra Tunisia e Libia, da quando l’esuberanza commerciale delle repubbliche marinare prima, e poi dell’emigrazione italiana di fine ottocento, vi avevano insediato decine di migliaia di italiani, e l’italiano era una sorta di lingua franca del mediterraneo centrale ed orientale. Poi sarebbero arrivate le guerre coloniali, le guerre mondiali, le decolonizzazioni, le primavere arabe e il loro fallimento, l’impaurito ripiegamento dell’Italia su una visione mitteleuropea dell’Unione.
La tempestività della visita di Draghi è stata dunque importante perché ha invertito una tendenza, quella a ritirarsi dallo scenario mediterraneo, a considerarlo come solo ‘mare di guai’, quella dell’ossessione migratoria e della chiusura in sé stesso di un paese in declino demografico, politico ed economico. Un atteggiamento che si è mostrato, ad esempio, nell’incerta condotta italiana nel conflitto tra Al Serraji e Haftar. Ma non solo.
‘Monnezza’ italiana in Tunisia
In questo scenario di faticosa e graduale ricostruzione di credibilità mediterranea, specie per i paesi più vicini per geografia e storia, arriva devastante la vicenda dei rifiuti campani inviati presso il porto di Sousse, 170 km a sud di Tunisi, che ha fatto titolare i media tunisini “La Tunisia non è la discarica dell’Italia”.
In breve. Ben 7.900 tonnellate di rifiuti, stipate in 282 container, sono salpate nel corso del 2020 dal porto di Salerno corredate di certificati che ne comprovavano la composizione: materiali plastici derivati dalla raccolta differenziata di 16 comuni del Cilento nel salernitano, bisognosi di una ulteriore vagliatura – qui più economica che in Italia – e reimpiego finale nell’industria del riciclo tunisina. Solo che nei container i funzionari tunisini accertano una gran quantità di immondizia indifferenziata, la società locale che doveva lavorarli si rivela una società fantasma, che non risulta proprietaria di alcuna necessaria struttura e che intendeva probabilmente sversare illegalmente l’immondizia nelle discariche tunisine. Il titolare Mohammed Moncef Noureddine è irreperibile.
Dall’Italia l’azienda SRA di Polla (SA), titolare del servizio di raccolta, si difende: per noi è tutto a posto, avevamo anche anticipato dei soldi alla Soreplast, le carte ci sono tutte, abbiamo fatto dei sopralluoghi in loco, siamo noi quelli truffati, è una questione tutta tunisina. In Tunisia, infatti, viene arrestato perfino l’ex ministro dell’Ambiente Mustafa Laroui, oltre ad altri tecnici e funzionari. Ma resta la composizione del rifiuto inviato all’estero come pretrattato e risultato in realtà indifferenziato, o quasi. Oltre alle possibili violazioni delle Convenzioni di Basilea e di Bamako, che vietano di esportare rifiuti non trattati da paesi UE a paesi extra UE, specie africani, e che incardinano la questione in una trattativa diretta tra stati, non certo tra Regione Campania e l’agenzia governativa tunisina ANGED.
Il rifiuto… della diplomazia
E più in generale, l’incapacità di numerose regioni italiane, quindi del sistema paese nel suo complesso – di provvedere autonomamente allo smaltimento dei propri rifiuti, con conseguente invio di ‘ecoballe’ in giro per il mondo: la SRA, per esempio, porta i rifiuti campani anche in Bulgaria, Lettonia, Portogallo e Turchia. Per una questione simile, nel 2020 si è dimesso anche il ministro dell’ambiente Bulgaro, Neno Dimov, poi arrestato: si trattava sempre di rifiuti campani, questa volta della società irpina Dentice Pantaleone. In patria, però, non solo non si è mai dimesso nessuno, ma se ne parla pochissimo sui media e anche i ministeri competenti – Ambiente, e ormai anche Esteri – non si sono mai espressi in merito. I rifiuti, intanto, giacciono sulla banchina del porto di Sousse al costo di 26.000 euro al giorno imputabili alla Regione Campania, con relativo contenzioso con la SRA. La Tunisia infatti ne ha chiesto il rimpatrio, per ora senza esito concreto, attaccando sulla celerità con cui l’Italia invece rimpatria i tunisini illegalmente immigrati. Una vera e propria crisi diplomatica.
Insomma, se da un lato l’Italia afferma di voler rilanciare una presenza proattiva e cooperativa nella sponda sud del mare di mezzo, recuperare una dimensione marittima della propria vocazione commerciale, difendere l’export a condizioni vantaggiose, negoziare energia a costi contenuti, costruire solide relazioni diplomatiche, politiche e culturali, dall’altra scarica sui vicini con cui vorrebbe dialogare i problemi che non riesce a risolvere in patria. L’Istituto per il Commercio con l’Estero ha calcolato che il livello di import-export con l’Algeria nel 2019 è arrivato a 9,9 miliardi di euro, 4,7 con l’Egitto, 5,4 con la Libia, 3 con il Marocco, 6 con la Tunisia. Chissà se in queste cifre sono computati anche i rifiuti.