Il Mozambico e la guerra allo Stato Islamico
Con l’arrivo dell’Isis, l’instabilità del continente africano si estende. Storia di uno stato che credeva di avercela quasi fatta
Nei giorni scorsi, la notizia della decapitazione di bambini da parte dell’Isis in Mozambico ha fatto parlare di sé, un conflitto altrimenti definito “senza voce”. Il riferimento è alla distruzione di tutte le infrastrutture di comunicazione da parte dei terroristi, che ha reso difficile la diffusione delle notizie dalla provincia a nord del paese di Capo Delgado a partire dal 2017, quando si sono verificati i primi episodi rivendicati da Al-Shabaab.
Ma l’espressione descrive bene anche la scarsa attenzione mediatica per quello che viene percepito come uno dei tanti conflitti che insanguinano il continente africano, reso ancora meno comprensibile dalla variabile impazzita del jihadismo islamista.
Il Mozambico – di fronte al Madagascar, nella cosiddetta Africa australe, quella a sud dell’equatore – avvia l’indipendenza dal Portogallo con dieci anni di conflitto, dal 1964 al 1974. Ne seguono altri venti di guerra civile, condotti dal FRELIME, Fronte di Liberazione del Mozambico, di ispirazione marxista e filosovietica e che detiene il potere, contro il RENAMO, Resistenza Nazionale Mozambicana. Firmano la pace nel 1994 a Roma, con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio, e nel 1994 si tengono le prime elezioni multipartitiche: vince il FRELIME con il 44,3%. La diplomazia ha successo, i contendenti si trasformano da eserciti a partiti politici. Ma il paese resta spaccato.
La capitale Maputo si trova all’estremo sud del paese, praticamente al confine con il Sudafrica. Dalle provincie urbane meridionali proviene la classe dirigente uscita dalla guerra di liberazione, che a partire dagli anni ’90 converte il FRELIME in un partito ultraliberista; perché passate le necessità militari, il vero collante si rivela essere di tipo etnico-geografico più che ideologico. Il governo privatizza, attira capitali esteri e infrastrutture, il Fondo Monetario Internazionale lo considera un caso di successo africano e gli indicatori economici – debito pubblico e inflazione – sono molto buoni.
Ma l’economia reale è ben diversa. Per soddisfare i parametri FMI il governo non ha investito in scuole, sistema sanitario, infrastrutture rurali, quelle che impattano maggiormente sulla popolazione e soprattutto quella del nord meno sviluppato. L’indebitamento estero è alle stelle, ci si mettono anche scandali e corruzione che fanno ritirare gli aiuti internazionali. Alle elezioni del 1999 il RENAMO, sostenuto dalle province rurali a nord del fiume Zambesi, quelle dove è esplosa la miseria, arriva al 48% e le tensioni interne aumentano fino a far riprendere la guerriglia contro il governo, sempre a guida FRELIMO.
Un’altra mediazione europea a guida italiana porta ad un nuovo accordo. Nel 2011 l’ENI scopre vasti giacimenti di gas al largo delle coste a nord del paese, di fronte a Capo Delgado, e il presidente Filipe Nyusi sogna di fare del Mozambico il secondo esportatore di gas del mondo; ma l’accordo del 2016 prevede che quelli e altri giacimenti – carbone, rubini – potranno essere messi in produzione solo a parti pacificate. Sembra fatta, ma più che di una vera e propria pace si tratta di una tregua, perché nel 2019 Nyusi viene rieletto con il 73% dei voti, il RENAMO contesta le elezioni per presunti brogli e riesplode l’instabilità. Intanto, nel dipartimento di Capo Delgado il tasso di povertà supera il 50%, uno dei più alti al mondo; e come se non bastasse, nello stesso anno da lì passa il devastante ciclone Kenneth. A nord del fiume Zambesi la situazione è fuori controllo.
Ma ormai sono già due anni che nel nord del paese imperversa l’Isis. Gli attacchi iniziano nell’ottobre 2017 a Mocimboa da Praia e si diffondono nei villaggi rurali della provincia di Capo Delgado, dove lo stato non riesce a mantenere il controllo della situazione, e dove insistono le ingenti ricchezze del paese. I fanatici islamisti si dichiarano “Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico” seminando morti, stupri, distruzioni e torture che generano 530.000 sfollati di cui 250.000 bambini, e 1300 civili uccisi, fucilati o sgozzati. Il governo per contrastare i terroristi ingaggia la Dyck Advisory Group, una società militare privata sudafricana, e successivamente anche i paramilitari russi della Wagner. E’ una guerra senza regole, in cui si bombardano anche gli ospedali e si mutilano corpi a colpi di machete. Nel 2020 Amnesty International pubblica un rapporto che documenta crimini di guerra e violazioni del diritto umanitario internazionale da parte di entrambi, ritenendo così il Mozambico corresponsabile della grave crisi umanitaria in atto.
Anche il Dipartimento di Stato americano nei giorni scorsi ha annunciato che invierà forze speciali per addestrare i soldati mozambicani a reprimere il terrorismo, e che fornirà supporto alla formazione di intelligence. Il fronte è destinato ad allargarsi.