Crisi: Giuseppe Conte vicino alle dimissioni. Cosa succede dopo?

Diario della crisi 2021: 25 gennaio, Giuseppe Conte vicino alle dimissioni. Cosa succede dopo? I possibili scenari

Con il passare delle ore, i possibili esiti della “crisi più incomprensibile del mondo” si fanno più definiti.

Sulla relazione del Ministro della Giustizia Bonafede, in votazione nei due rami del parlamento mercoledì e giovedì, la maggioranza rischia di essere ancora più esigua di quella che due settimane fa ha votato la fiducia al Governo. Le posizioni giustizialiste del Ministro non sono infatti appetibili né per eventuali ‘volenterosi’ di area centrista, chiamati a rafforzare l’area di Governo, e neanche per riaprire un difficile dialogo con Italia Viva. E anche all’interno del Pd e dello stesso M5S non mancano i ‘malpancisti’ che la voterebbero col naso turato di montanelliana memoria. Un esito infausto della votazione decreterebbe dunque la fine politica di Giuseppe Conte. Una conta da evitare a ogni costo.

Allo stesso tempo, eventuali nuovi alleati – ma anche eventuali ex alleati da riavvicinare, i numeri sono numeri – reclamano “pari dignità” in caso di sostegno a un governo che a quel punto dovrebbe essere a tutti gli effetti un ‘nuovo’ governo. Leggi: Conte prima si dimetta, si riazzeri tutto e poi nuovo governo, nuovo programma, nuovi ministri e nuovi sottosegretari. E posata sul tavolo delle trattative, sempre la stessa pistola: le elezioni anticipate. Che, al di là dei proclami, non vuole (quasi) nessuno. Per una serie di buoni motivi, sia di ordine generale che di interesse molto particolare.

Convocare gli elettori durante la pandemia, infatti, esporrebbe a enormi rischi non solo la salute pubblica, come ogni italiano può comprendere, ma anche il parlamento che ne uscirebbe fuori. In quelle condizioni, quanti elettori si recherebbero alle urne? Quanta sproporzione nell’affluenza ci sarebbe tra regione e regione, considerate le forti differenze dei tassi di contagio sul territorio nazionale e tra le fasce d’età? Insomma, il nuovo Parlamento potrebbe nascere già delegittimato perché non rappresentativo, e ne conseguirebbe un caos ancora peggiore.

E poi c’è il Recovery Fund. L’Italia ha ottenuto una quota di finanziamenti pari a quasi il 30% dell’intero budget europeo, ma per ottenerlo davvero – oltre a doverlo ancora approvare – deve impegnare i 209 miliardi entro il 2023 e spenderli entro il 2026. Un tempo talmente ridotto che perdere altri sei mesi in una campagna elettorale e nella formazione di un nuovo governo sarebbe fatale. Non solo per l’Italia ma anche per l’Europa, che vedrebbe fallire così un terzo del Next Generation Eu.

Infine, ma non è affatto l’argomento più marginale, alle prossime elezioni il parlamento subirà un taglio del numero di eletti, e questo renderà molto più incerta la rielezione degli attuali parlamentari. I cui partiti hanno percentuali di consenso sempre altalenanti: i Cinque stelle praticamente dimezzati dal 2018, la Lega passata dall’exploit delle Europee a circa il 23%, Forza Italia in equilibrio sempre instabile. Chissà cosa potrebbe succedere di qui a giugno, con un’opinione pubblica resa ancora più nervosa dalla pandemia.

In questo scenario non semplice, Giuseppe Conte sa di non essere l’unica opzione possibile.

Dimettendosi prima della relazione Bonafede, sa che il Presidente Mattarella potrebbe affidargli un incarico esplorativo per verificare l’esistenza di una base parlamentare il più possibile solida. Ma per gli eventuali nuovi arrivati da Forza Italia, da Italia Viva e dal Gruppo Misto, troppo facile sarebbe l’accusa di essere dei voltagabbana, dei sostenitori di un premier che ha governato prima con una maggioranza giallo-verde, poi giallo-rossa, poi multicolore. Meglio allora riazzerare i giochi per davvero, con un nuovo premier a inscenare un nuovo inizio. Magari adottando qualche formula altisonante, tipo Governo del Presidente.

Sapendo che l’instabilità politica non è solo un male endemico italiano dai tempi della Prima Repubblica. È anche scritta nei numeri di un parlamento uscito dalle elezioni del 2018 senza una maggioranza. Mentre in Transatlantico risuonano altisonanti invocazioni di maggioranze forti e certe, è bene ricordarlo.

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