Qualità della vita, Italia divisa in cinque
La ventiduesima indagine di Italia Oggi rivela un paese più articolato rispetto alla storica divisione tra nord e sud. Ma non tutti sono d’accordo
“Non una Italia, dunque, e nemmeno due, ma ben cinque.” Questa la sintesi del rapporto sulla qualità della vita 2020 nelle 107 province italiane, a cura di Italia Oggi e Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche dell’Università la Sapienza di Roma, in collaborazione con Cattolica Assicurazioni.
Al di là delle classifiche che solitamente fanno notizia sui giornali, infatti (Pordenone scalza Trento dal primo posto, Foggia a fondo classifica, Crotone tra le peggiori, ecc.), l’analisi critica dei dati emergenti da 9 categorie di analisi articolate in 16 sottodimensioni e 85 indicatori di base restituisce un’immagine del nostro paese ben più complessa del tradizionale divario tra nord e sud. “Appare non più rispondente alla realtà, ormai, la visione dualistica tra Centronord, da un lato, e Sud a quello opposto”, si legge nel rapporto. “Deve ritenersi superata la generica contrapposizione tra Centronord e Mezzogiorno, in quanto non rappresenta l’unico paradigma interpretativo per spiegare le differenze nei livelli di qualità della vita tra le provincie italiane”. Una linea che Italia Oggi sostiene già da qualche edizione della sua indagine.
E poi fu il Covid
Quest’anno lo studio non poteva non tenere conto di come la pandemia da Covid 19 abbia modificato la percezione della sicurezza sociale, dei sistemi sanitari e delle fragilità nelle varie aree del paese. Sono dunque stati inseriti nuovi indicatori come incidenza di casi di Coronavirus, variazione della mortalità tra under e over 65 anni, posti letto in terapia intensiva e dotazione di grandi apparecchiature diagnostiche. Con il risultato di diminuire il ranking di città come Bergamo, Lodi, Sondrio, Cremona, e di rivelare nuove sfumature del concetto di ‘qualità della vita’: si sta bene anche dove ci si ammala e si muore di meno, gli ospedali non sono presi d’assalto e il personale medico, sottoposto a minore pressione, riesce a mantenere rapporti più umani con i pazienti. Ad esempio.
Le connessioni tra diversi parametri di analisi sono evidenti: dove minore è il numero di scambi per affari e lavoro, o dove il sistema del tempo libero offre meno occasioni di assembramento, per non dire che la densità abitativa è minore per via dell’emigrazione verso i grandi centri di formazione delle aree urbane e del nord, sistema salute e sicurezza sociale evidenziano performance migliori. Non mancano in questo senso sorprese e risultati un po’ curiosi, come Isernia al primo posto del sistema salute (Trento all’ultimo, dopo Vibo Valentia, probabilmente per una scarsa dotazione di apparecchiature diagnostiche come Gamma Camere, Acceleratori lineari e Tac), Rimini la peggiore d’Italia per reati e sicurezza, Cremona ultima per sicurezza sociale, Savona per Popolazione (a dire il vero, una definizione che appare un po’ generica). E sempre per commentare classifiche come se parlassimo di calcio, segnaliamo l’ottima prestazione di Ascoli Piceno, che passa dal 37° al 5° posto, Roma che guadagna 26 posizioni, Milano che ne perde 16, Bergamo per via dei noti fatti di Covid che scivola dal 26° al 40°. Buon risultato anche per le provincie della Sardegna, del Molise e della Basilicata.
Le cinque Italie
La cosa che ci sembra più interessante, tuttavia, non è tanto il piazzamento delle singole provincie, che induce a tifoserie e titolazione a effetto dei quotidiani locali (TorinoToday: Torino crolla in classifica, PrimaTreviso: terzo, quarto e sesto posto per il Veneto, Strettoweb: Reggio Calabria guadagna 12 posizioni, e così via), quanto l’individuazione di cinque ‘cluster’ territoriali che interpretano i vari dati. Lo studio parla infatti di omogeneità tendenziali di comportamento al Centrosud e in Sicilia (cluster denominato Mediterraneo); nella fascia adriatica dall’Emilia Romagna fino al Molise (Adriatico); nel Lombardo-Veneto (Padania); nel sistema che dal Nordovest scende verso la toscana (Francigena) e nelle grandi aree urbane (Metropoli). Le ultime tutte piazzate abbastanza male, sia al nord che al sud, perchè si vive meglio in provincia; mentre nelle altre sono possibili sorprese e dati in controluce (ma è al Nordest che si vive meglio). Queste sarebbero le aree nelle quali va scomponendosi il tradizionale dualismo Nord-Sud. Come dire: il paese è più articolato e interessante di quanto non si creda, e nel complesso tiene la crisi (“L’Italia incassa e non va in ko” titola lo studio), con significativi spostamenti in classifica che denotano anche un certo dinamismo. E poi, il sottotitolo che suona come un incoraggiamento: in Italia la qualità della vita è buona o accettabile in 60 provincie su 107. Cioè la maggioranza.
Aspettando il Sole
Quella di Italia Oggi, però (benchè il quotidiano economico la definisca “il più completo studio statistico sulla qualità della vita pubblicato oggi in Italia”) non è l’unica analisi su dove si vive meglio: è attesa per dicembre anche la trentunesima edizione dell’analogo studio del Sole24Ore. Il giornale milanese, che dispone di un proprio prestigioso ufficio studi ed è abituato a fare le cose in grande, fino allo scorso anno articolava il suo studio in 90 indicatori, e ora dovrà similmente adattarli agli sconvolgimenti di questo disgraziato 2020 (lo scorso anno, ad esempio, titolava “Qualità della vita, Milano fa il bis: è la città dove si vive meglio”, e pare difficile che possa ripetersi). Anche se il Sole è stato il primo a introdurre categorie di analisi per andare oltre l’aridità del Pil, superando l’ossessione per la pura crescita economica in favore di sostenibilità e benessere economico e sociale, riflette un punto di vista più attento a un modello di benessere dagli standard continental-europei. Secondo i detrattori, più attento alla comodità che alla qualità, e troppo severo con il Sud, poco attento a coglierne specificità e punti di forza.
Con la prossima uscita dello studio del Sole24Ore, sarà interessante capire se si vanno consolidando due linee di pensiero diverse, due modi differenti di leggere la peculiarità del caso italiano: uno più bocconian-milanese, l’altro più peninsulare e romana. Che poi, anche questa divisione non sarebbe una gran novità.