Contro la pastasciutta. Il pranzo perfetto secondo i futuristi
La rivoluzione ‘cucinaria’ del futurismo non è riuscita ad abbattere il mito della cucina tradizionale italiana. Ma le ha lasciato un’eredità stimolante
Nonostante sia un cliché mondiale, non è vero che tutti gli italiani amano la pasta. Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del Futurismo, ad esempio la detestava (o almeno così amava far credere) al punto di scagliarle addosso una rilevante parte del suo Manifesto della Cucina Futurista, pubblicato nel 1931.
Generalmente trascurata rispetto ad altre teorizzazioni futuriste, quella sulla cucina fu in realtà di grande interesse. Ed anche se i ristoranti futuristi non sono sopravvissuti fino a noi – perché quelle che proponevano erano vere e proprie pietanze disgustose – alcuni assunti di quel Manifesto hanno lasciato acquisizioni stabili, che hanno influenzato anche il nostro modo di mangiare.
Contro la pastasciutta
Ma partiamo dalla crociata contro maccheroni e spaghetti. Come si sa, il futurismo condannava le tradizioni, viste come fardelli del passato, impedimenti al progresso tecnologico e al dinamismo culturale della Nazione. Nel passaggio del Manifesto Contro la pastasciutta si afferma che questa è un’“assurda religione gastronomica italiana”, accusata di contrastare “collo spirito vivace e coll’anima appassionata generosa intuitiva dei napoletani […]. Questo accade nientemeno perché “…la pastasciutta è un alimento che si ingozza, non si mastica. Questo alimento amidaceo viene in gran parte digerito in bocca dalla saliva e il lavoro di trasformazione è disimpegnato dal pancreas e dal fegato. Ciò porta ad uno squilibrio con disturbi di questi organi. Ne derivano: fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo“. La pasta, dunque, rassicurante rifugio degli imbelli: parole del dottor Signorelli, amico di Marinetti e napoletano lui stesso.
E secondo un altro luogo comune, oggi smentito da tutti i nutrizionisti, la pasta fa ingrassare mentre una corretta alimentazione per la grandezza dell’Italia deve impedire “che l’Italiano diventi cubico massiccio impiombato da una compattezza opaca e cieca. Si armonizzi invece sempre più coll’italiana, snella trasparenza spiralica di passione, tenerezza, luce, volontà, slancio, tenacia eroica.” I corpi italiani così alleggeriti diverranno agili e “adatti ai leggerissimi treni di alluminio che sostituiranno gli attuali pesanti di ferro legno acciaio.”
Molto meglio sostituire la pasta con pane e soprattutto riso, che affrancherà la Nazione dalla dipendenza dal grano estero; ed evidentemente, non fa rallentare i treni.
Il pranzo perfetto è servito
Il Manifesto contiene un decalogo per il pranzo perfetto. Concetto centrale è che il mangiare è un atto artistico multisensoriale, e deve quindi avvalersi di tutti gli strumenti per espanderne le sensazioni. Elementi visivi, sonori, tattili oltre che olfattivi e gustativi: il pranzo diventa una vera e propria performance. Eliminare le posate, ad esempio, consente di amplificare il “piacere tattile prelabiale”, specie se si affondano le mani in gustosi “complessi plastici”. Gli accostamenti dei sapori devono essere originali, coraggiosi, inusitati, meglio se eversivi, accompagnati da suoni, poesia e musica come “ingredienti improvvisi per accendere con la loro intensità sensuale i sapori di una data vivanda”; bocconi ‘simultanei e cangianti’ devono contenere molteplici sapori – anche fino a venti – per riassumere sensazioni da vivere in pochi attimi, similmente a quanto avviene in letteratura, in modo che “Un dato boccone potrà riassumere una intera zona di vita, lo svolgersi di una passione amorosa o un intero viaggio nell’Estremo Oriente”.
Naturalmente, anche nella cucina deve irrompere il progresso delle macchine: ozonizzatori, lampade per emissione di raggi ultravioletti, elettrolizzatori, mulini colloidali, apparecchi di distillazione, autoclavi centrifughe, dializzatori per dare agli ingredienti consistenze, sapori, proprietà e aspetti sempre nuovi e cangianti, “in modo da ottenere da un prodotto noto un nuovo prodotto con nuove proprietà”. Infine, la tavola: parte dello stesso campo visivo delle vivande, deve essere in armonia con i cibi con ‘cristalleria vasellame addobbo’ (senza virgola, ovviamente).
Carneplastico e Equatore+Polo Nord
Il pranzo futurista non prevede cocktail, sandwich, dessert o picnic, ma rispettivamente polibibite, tramezzini, peralzarsi e pranzoalsole; nei casi più estremi propone piatti volutamente immangiabili, perché propone non un menù ma un’offensiva gastronomica’ goliardica, gaia, irruenta e caotica, ovviamente in spregio alle sensazioni gustative tradizionali e abitudinarie del ‘quotidianismo mediocrista’. Nel più famoso dei pranzi futuristi, quello tenutosi a Torino nella primavera del 1931 nella ‘Taverna Santopalato’, furono servite ben quattordici portate con pietanze come Antipasto intuitivo, Brodo solare, Mare d’Italia, Pollofiat e Carneplastico. Quest’ultimo, tanto per dire, è “composto di una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita ripiena di undici qualità diverse di verdure cotte. Questo cilindro disposto verticalmente nel centro del piatto, è coronato da uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia che poggia su tre sfere dorate di carne di pollo.” Secondo l’aeropittore Fillia, che ne fu l’ideatore, il Carneplastico era un’”interpretazione sintetica dei giardini, degli orti e dei pascoli d’Italia”.
Altra celebre ‘formula’ (termine futurista per ‘ricetta’) quella del pittore Enrico Prampolini, che descrisse il suo “Equatore+Polo Nord” come un complesso plastico mangiabile “composto da un mare equatoriale di tuorli rossi d’uova all’ostrica con pepe sale limone. Nel centro emerge un cono di chiaro d’uovo montato e solidificato pieno di spicchi d’arancio come succose sezioni di sole. La cima del cono sarà tempestata di pezzi di tartufo nero tagliati in forma di aeroplani negri alla conquista dello zenit.”
Futurismo e pastasciuttismo
Guillaume Apollinaire nel 1913 aveva già rivolto ai cuochi francesi l’invito a prodursi in una ‘Cuisine Nouvelle’. Era tempo di strappi col passato, e quello che non spazzarono via gli artisti l’anno successivo se lo portò via la Grande Guerra. Al di là degli aspetti più estremi ed avanguardistici, la cucina futurista ambientò tale invito in un’esperienza pienamente artistica, totale, esperienziale. L’idea della pietanza come opera d’arte, al pari di un quadro o di una scultura mangiabile con al centro lo spettatore-attore, lascerà il segno; come lo lascerà l’approccio all’utilizzo di scienza e tecnologia nella cucina, per non dire della chimica.
Ma nel suo estremo tentativo di demolire l’eredità culturale della cucina italiana, il futurismo ne ha ulteriormente riconosciuto la potenza strutturante, la pregnanza e la centralità nell’immaginario di un paese bisognoso di un patrimonio comune. Lo stesso Marinetti un giorno venne scoperto da Biffi a Milano, mentre mangiava un piatto di pastasciutta. I giornali giustamente lo dileggiarono:
“Marinetti dice Basta! / Messa al bando sia la pasta / Poi si scopre Marinetti / che divora gli spaghetti!”.