I trabocchi, le antiche macchine da pesca d’Abruzzo
Gli affascinanti trabocchi sono antiche testimonianze della civiltà marinara adriatica. Con cui l’Abruzzo tenta di rilanciare il turismo
Da qualche anno la costa dell’Abruzzo meridionale viene pubblicizzata nei circuiti turistici come “Costa dei trabocchi”. Le singolari costruzioni da pesca, progressivamente abbandonate a partire dal secondo dopoguerra, sono state recentemente riscoperte nel tentativo di connotare un territorio che vuole liberarsi dalla nomea di ‘parente povero’ dei litorali romagnoli o marchigiani, e puntare su un turismo sostenibile, attento all’ambiente, al territorio e alla cucina tradizionale.
Ma cosa sono – o meglio cosa erano – i trabocchi e come mai caratterizzano quel tratto di costa? Quale storia li lega indissolubilmente a quei luoghi?
Un’origine antica
I trabocchi, o travocche in dialetto abruzzese, sono costruzioni in legno realizzate su palificate a mare, collegate alla terraferma tramite passerelle alla cui estremità sorge una cabina e una serie di bracci – le antenne – per il sollevamento di reti da pesca a bilancia. Le tecniche d’uso, di realizzazione e di manutenzione dei trabocchi richiedono abilità specialistiche, tramandate per secoli e in seguito quasi del tutto perdute con l’evoluzione dei sistemi di pesca.
Il termine travocche sembra derivare dalla trappola o trabocchetto costituita dalla modalità di cattura dei pesci; ma secondo altre ipotesi potrebbe derivare dal latino trabs, trave di legno, oppure dal trabiccolo posto all’estremità della struttura, che fa da argano per il sollevamento delle reti. Fatto sta che il trabocco rende possibile pescare minimizzando i rischi della pesca, che effettuata su natante espone ai pericoli del mare, restando – più o meno – al sicuro sulla terraferma; e non sembra perciò essere invenzione propria di una civiltà marinara. Anche sulle origini dei trabocchi si sono fatte varie ipotesi, tentando di dare un senso a notizie storiche piuttosto sparse nei secoli.
La comparsa di strutture in legno a mare potrebbe risalire nientemeno che ai fenici. Ma il primo documento scritto che ne attesta la presenza individua il 1240 come l’anno in cui Pietro Angeleri, il famoso papa Celestino V, amava affacciarsi dall’abbazia di Fossacesia e ammirare il mare sottostante “punteggiato dai trabocchi”. Certo è che tra i frequenti terremoti nella zona quello del 1627 fu particolarmente rovinoso, e il successivo ripopolamento portò dalla Francia e dalla Dalmazia migliaia di nuovi abitanti, per lo più artigiani abili nella ricostruzione come fabbri, falegnami, muratori. Questi avrebbero perfezionato strutture già presenti, trovandolo più semplice che non apprendere tecniche di pesca e di navigazione in mare aperto, con cui non avevano nessuna confidenza.
Comunque, data la conformazione bassa e sabbiosa del litorale, fin dal medioevo era in uso costruire piccoli pontili in legno estemporanei, detti trabocchi da molo o caliscendi, per il carico e scarico di olio, vino, cereali e legname su navigli di piccolo cabotaggio. Questi ‘caricatoi’ avrebbero consentito anche un uso a fini di pesca, in cui si sarebbero poi specializzati affinando materiali, ferramenta, tipologia e scelta dei luoghi più pescosi. Strutture simili ai trabocchi sono presenti in diversi tratti costieri italiani, specie sulla costa adriatica: in Puglia, nel Gargano e più a nord fino a Ravenna. Ma le caratteristiche di quelli abruzzesi, situati soprattutto tra San Vito Chietino e Fossacesia, sono quelle di essere prevalentemente in acqua, dotati di lunga passerella perpendicolare alla linea di costa, riparati dal maestrale dall’orientamento delle scogliere e con fondali di 5-6 metri di profondità. La pesca veniva effettuata ‘a vista’, con due persone addette all’avvistamento del banco e due traboccanti deputati alla movimentazione di bilance, antenne, carrucole e corde.
Un landmark straordinario
Il risultato di tutto questo è una suggestiva costruzione che Gabriele D’Annunzio, nel romanzo “Trionfo della morte” del 1894 descrive come una “grande macchina pescatoria composta di tronchi scortecciati, di assi e di gomene, che biancheggiava singolarmente, simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano”.
Il Vate osserva anche che “La macchina pareva vivere di una vita propria, avere un’aria e un’effigie di corpo animato. Il legno esposto per anni al sole, alla pioggia, alla raffica, mostrava le sue fibre… si faceva candido come una tibia o lucido come l’argento o grigiastro come la selce, acquistava una impronta distinta come quella d’una persona su cui la vecchiaia e le sofferenze avessero compiuta la loro opera crudele.”
Tutela e riuso, ma con cautela
Un patrimonio così singolare non poteva andare perduto. La Regione Abruzzo ha varato la prima legge per il ‘Recupero e la valorizzazione dei trabucchi della costa teatina’ nel 1994; da allora numerose iniziative si sono succedute per rilanciarne la tutela e il riuso. Nel 2010 il Patto territoriale Sangro Aventino ha avviato il lancio e la promozione del brand ‘Costa dei trabocchi’, di cui la realizzazione della ciclovia adriatica nella sede della ferrovia dismessa è uno degli assi portanti. Per dare una nuova funzione ai trabocchi, si è favorito il suo riuso a fini di ristorazione. Cosa non sempre semplice: la manutenzione di palificazioni e assi va fatta mensilmente e utilizzando esclusivamente determinati materiali, i carichi che una fragile struttura come lu travocche può sopportare sono limitati e spesso non compatibili con frigoriferi e fuochi, per non dire del carico accidentale rappresentato dagli avventori. L’ultima legge della Regione Abruzzo in materia, del 2019, è perfino stata impugnata dal Governo perché c’è il timore che consenta ampliamenti e cambi d’uso tali da configurarne, oltre allo snaturamento, una vera e propria speculazione.
Fatto sta che salire su un trabocco, quella palafitta antica sospesa tra cielo e mare, con il cigolio degli assi sotto i piedi e la brezza marina che avvolge, è un’emozione unica. Ancora più emozionante ascoltare le storie dei pochi veri traboccanti rimasti. Bruno proviene da una famiglia di pescatori e oggi cala lentamente le bilance a mare del trabocco Palombo a Fossacesia, davanti agli occhi stupiti degli ospiti della sua piccola cucina. Lui a pescare spigolette, cefali e pesce azzurro sul travocche ci andava col nonno, ed è fiero di custodire un luogo leggendario e magico, una tradizione tanto preziosa per l’identità costiera abruzzese. Mentre il sole tramonta prepara orgoglioso il suo famoso brodetto. “Io il trabocco”, dice, “ce l’ho nel sangue”.
Qui è possibile sapere come e dove ammirare i trabocchi
Le foto nell’articolo sono tratte dal sito abruzzoturismo.it