Il fascino discreto della Lingua italiana nel mondo
La ventesima edizione della Settimana della lingua italiana nel mondo, un evento che va molto oltre l’interesse linguistico o letterario
Si è celebrata la XX edizione della “Settimana della Lingua italiana nel mondo”.
La lingua è il primo fattore del senso di appartenenza di un popolo e della sua autostima. Veicola contenuti: idee, immagini, invenzioni, mentalità e aspirazioni, portandoli in zone anche molto più ampie di quelle in cui viene parlata; può contaminare altre lingue con la sua rappresentazione del mondo. Insomma, “Lingua è potere”, e la crisi di popolarità dell’Italica Favella in patria è specchio di una crisi di potere generale e più ampia. Che potere ha oggi l’italiano all’estero? Gli italiani ne sono consapevoli?
“C’è voglia di italiano nel mondo”
Tempo fa un Capo del Governo, poi caduto in disgrazia, affermò che “C’è voglia di Italia nel mondo”; e si potrebbe aggiungere: e di lingua italiana. Gli italofoni nel globo non sono più di settanta milioni, eppure l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo – esclusi i madrelingua – dopo inglese, spagnolo e cinese mandarino: più del francese, ad esempio, che è solo quinto. Più del tedesco, del portoghese o del giapponese.
La cosa può sorprendere, se si dimentica che l’italiano è la lingua franca di uno dei principali soggetti geopolitici mondiali, la Chiesa Cattolica; che la diaspora italiana ha portato nel mondo oltre quaranta milioni di emigrati, soprattutto in Argentina, Usa, Canada, Australia, Germania, Francia e Belgio; che è generalmente ben compreso nei paesi di emigrazione verso l’Italia o del passato coloniale, come Albania, Romania, Eritrea e Somalia, o di antico insediamento come le zone mediterranee di influenza marinara genovese e veneziana, Slovenia, Croazia, Corsica.
Tutto ciò però non basta a comprendere perché oltre due milioni di non italiani nel mondo vogliano imparare a parlare nella lingua di Dante, più degli interessati alla lingua di Moliére, di Goethe, di Tolstoj, di Magellano e così via. Il punto è che la lingua veicola l’immagine del nostro paese, che all’esterno dei confini nazionali suscita molta più simpatia e ammirazione di quanto non avvenga in Patria. L’italiano è la lingua dell’arte e dell’architettura, di Brunelleschi, Raffaello, Michelangelo; della musica, del melodramma e del canto lirico; delle scoperte scientifiche di Leonardo, Galileo e Marconi; della pizza, del gelato e del cappuccino, del vino, del parmigiano e del più recente boom del prosecco; del Made in Italy che va da Valentino, Versace, Prada e Gucci fino alla Ferrari, alla Maserati e alla Lamborghini. Insomma, di quell'”Italian way of life”, che fa tendenza in giro per il mondo, e da qualche tempo anche nelle classi sociali in ascesa cinesi. L’elenco, che già così suona un po’ didascalico, potrebbe continuare a lungo.
L’italiano, un “soft power”
Lo scopo non è quello di fare del facile patriottismo. Ma rendersi conto che la nostra lingua veicola tutto questo, e che esiste una domanda di Italia di cui la domanda di lingua italiana fa parte, perché costituisce l’essenza di un modo di essere che nel mondo piace, forse più che a noi. Tutto ciò spinge il Ministero degli Affari Esteri a definire la lingua italiana un “soft power” – giusto perché definirlo “potere morbido” suonerebbe un po’ ridicolo – che arriva ben più lontano della sfera di influenza geopolitica ufficiale dell’Italia e che ha una capacità di penetrazione, e di trascinamento con sé del sistema paese, molto maggiore di quello delle nostre cancellerie. E faremmo bene ad esserne più consapevoli, per poterlo sfruttare nel nostro interesse.
Le Settimane della Lingua Italiana nel Mondo
Ecco perché la Settimana della Lingua Italiana nel Mondo assume un valore strategico così elevato, ed è senz’altro un’ottima notizia che sia giunta già alla ventesima edizione, con un livello di attenzione e di gradimento crescenti. Attraverso la rete delle Ambasciate, degli Istituti Culturali Italiani, della Società Dante Alighieri e delle Facoltà di Italianistica nel mondo vengono organizzati eventi, mostre e seminari tematizzati sulla cultura italiana: nel 2017, ad esempio, il filo conduttore è stato quello del cinema italiano; nel 2018 è stata la volta della canzone, mentre nel 2019 il tema era quello de “l’italiano in palcoscenico”, cioè teatro e lirica, da Ariosto a Dario Fo alla Traviata. L’edizione 2020, appena conclusa, è stata tematizzata su “L’Italiano tra parola e immagine: graffiti, illustrazioni, fumetti”.
Grazie a una serie di iniziative, alcune delle quali solo on line per via della pandemia, si sono portate a Rio de Janeiro, a San Francisco, Chicago, Washington e Toronto le esperienze di Romics, il festival internazionale del fumetto, animazione, cinema e games; a Taipei le storie illustrate di Gianni Rodari, a Sidney i fumetti che hanno ispirato Fellini, a Londra le trasposizioni di Camilleri, e in molti altri luoghi del mondo i talenti di giovani illustratori e la forza espressiva delle scuole di fumettisti, sceneggiatori e street artists. Il programma completo delle iniziative è consultabile qui e può dare una buona idea di quanto ‘sistema paese’ abbia circolato per il mondo, tra artisti, intellettuali, professori universitari, organizzatori di eventi, sponsor e reti diplomatiche, e con che livello di capillarità.
La speranza è che, dopo aver suscitato tanta aspettativa e ammirazione, tanto sistema non torni a discutere su chi debba fare cosa e a chi spetti deciderlo, dividendosi in fazioni dalle geometrie variabili, purché in perenne lotta tra loro. Allora, come nelle barzellette, passerebbero un francese, un tedesco e un americano, e ora anche un cinese; e non capendo l’italiano, probabilmente si farebbero quattro risate.