Gaeta, la “Fedelissima”
Storie e luoghi del nobile porto Borbone, ultimo rifugio di un mondo scomparso. Spesso ingiustamente dimenticato
Nonostante i suoi oltre 200 chilometri di litorale, il Lazio non si è mai sentito una regione molto costiera. Sarà la presenza di Roma che tutto divora, sarà per la costa sabbiosa e paesaggisticamente poco spettacolare, sarà perché già i porti romani dell’antico Latium Vetus tendevano a insabbiarsi; ma nell’immaginario collettivo del mare laziale si fa una sorta di uso interno, quasi collaterale, e non sono molti gli italiani di altre regioni che dicono ‘quest’anno vado al mare nel Lazio’.
E Gaeta nel Lazio ci è finita un po’ per caso – piuttosto di recente, nel 1927: prima, con Caserta capoluogo, faceva parte della cosiddetta Terra di Lavoro. Ma il Lazio non sembra aver molto apprezzato la storia affascinante e gloriosa che gli ha portato in dote: un torto che incrocia le rimozioni della storia d’Italia, e che ha contribuito al declino di una delle zone più ricche e strategiche del centro sud. Conoscerne meglio le vicende, oltre a farne apprezzare le bellezze, potrebbe dunque contribuire al rilancio di tutto l’antico Latium Adjectum.
La storia non è mai una sola
Gaeta ha una storia antichissima. Il suo golfo è talmente chiuso e riparato dalle correnti da renderla ancora oggi un porto di rara sicurezza. Nella terra degli Ausoni approda Ulisse e muore la sua nutrice Kaieta, che consegna il suo nome alla futura città.
Imperatori e generali romani la scelgono per le loro megaville, e anche per farsi seppellire: come Lucio Munazio Planco, generale di Giulio Cesare, il cui mausoleo guarda intatto il mare da Monte Orlando da oltre duemila anni. L’Appia e la Flacca portano in un attimo, secondo gli standard dell’epoca, sia a Roma che nella Campania Felix, che allora era la parte più ricca e evoluta di tutto l’impero.
Quando il mondo romano decade Gaeta sarà repubblica marinara, come Amalfi, e guiderà diverse spedizioni vittoriose contro pirati e saraceni. Anche il vessillo della battaglia di Lepanto, 1571, parte da qui con le navi di Marcantonio Colonna, ed è tuttora custodito nel Museo diocesano. A quei tempi Gaeta, due castelli, l’Aragonese e l’Angioino, poderosi bastioni, mura, casematte e un promontorio protetto dalla montagna, insieme a Gibilterra e Malta è tra le piazzeforti più imponenti e inespugnabili d’Europa.
Dal cattolicissimo Regno di Napoli ottiene onori e riconoscimenti. Carlo III di Borbone ci si sposa con Maria Amalia di Sassonia, 1738, e le concede il titolo di “Fedelissima”: Gaeta è “città di chiese e caserme”, blindato confine di stato, base logistica della marina più potente del Mediterraneo ma anche “Secondo Stato Pontificio” per i buoni rapporti con Sua Santità. Quando Pio IX fugge dalla Repubblica Romana nel 1848, è proprio nella fedele Gaeta di Ferdinando II che trova rifugio, e nella Cappella d’Oro cerca l’ispirazione per l’enciclica Ubi Primum, quella dell’Immacolata Concezione. In quei mesi turbolenti Gaeta è anche Città del Papa.
L’assedio di Gaeta e l’Unità d’Italia
Dei molti assedi a cui la città resiste nella sua storia il quattordicesimo, l’ultimo e il più drammatico, le sarà fatale. Garibaldi è risalito da Marsala per tutto il Regno delle Due Sicilie, a Teano cede il comando militare ai Piemontesi; Francesco II, Franceschiello, ha abbandonato Napoli per non causare una strage tra i civili e si rifugia a Gaeta. Lì conta di resistere e guidare la riscossa dietro la linea del Garigliano, in attesa delle navi promesse da francesi e austriaci, le spalle coperte dallo Stato Pontificio.
Ma la Storia ha ormai virato altrove. I rinforzi non arrivano, molti ufficiali borbonici hanno tradito e il generale Cialdini si accanisce sulla città con sabauda ostinazione: dopo tre mesi di bombardamenti, 2700 morti, 4000 feriti e 1500 dispersi, la regina Sofia sulle barricate a soccorrere i caduti, il 14 febbraio 1861 insieme a Gaeta cade di fatto il più antico ed esteso stato italiano. Agli ufficiali napoletani viene offerto di entrare nell’esercito italiano entro due mesi, oppure la deportazione nel campo di concentramento di Fenestrelle, in val Chisone. Molti tentano la resistenza perché “nella vita si giura una volta sola”, e si rifugiano sui monti Ausoni: i vincitori li chiameranno ‘briganti’ e la loro storia oggi è raccontata dal Museo del Brigantaggio di Itri, poco lontano. Per Gaeta niente sarà più come prima.
Gaeta, non solo mare
Abituato agli scempi urbanistici costieri, sia del Lazio che della Campania, oggi il visitatore resta colpito dall’aspetto armonioso dell’insediamento, anche nella parte moderna, la manutenzione del verde pubblico, la scenografica Gaeta medievale stretta tra il mare e il Monte Orlando, nel Parco della Riviera di Ulisse. Testimonianze dell’antico passato non mancano: il duomo con il suo campanile arabeggiante, la singolare massa, neogotica e un po’ drammatica, della chiesa di San Francesco, antiche chiese di mare, polveriere, porte e bastioni, spettacolari strapiombi. Come quello della chiesa di San Domenico o del Santuario della SS. Trinità, posto a guardia della Montagna spaccata e della Grotta del Turco, custodi di storie di marinai miscredenti, di Terre Sante, di miracoli d’Oriente. Il Serapo, la spiaggia cittadina, è ampia e ordinata, ma la città conserva un rapporto con il mare fatto anche di cantieri navali, dei maestri d’ascia eredi dell’antica marineria borbonica e di pesca; ogni tanto nel porto commerciale accosta una petroliera. Gaeta è ancora città militare, con il centro navale della Guardia di Finanza, il carcere militare attivo fino a pochi anni fa e la base navale USA, ma certo non è più la terra di confine, il porto di mare, l’antica e strategica piazzaforte d’un tempo.
Fedelissima e Tradizionalista
Per rendere giustizia alla sua nobile storia, ogni anno l’Ordine Costantiniano di San Giorgio e la Pro Loco promuovono il Convegno Tradizionalista della Fedelissima Città di Gaeta, “la più rilevante e frequentata manifestazione di storia borbonica che si tiene annualmente in Italia”. Il programma include sempre, oltre a un convegno dal carattere storico, anche una “messa e lancio di corona in mare in onore dei Caduti nei giorni dell’assedio del 1860-61”, che nel 2016 venne officiata da “S.A.R. il Principe Padre Alessandro di Borbone delle Due Sicilie”. Non si tratta esattamente di un assembramento di nostalgici: il livello scientifico degli interventi è alto, le rievocazioni storiche sono accurate e gli organizzatori specificano che non hanno nessun intento secessionistico o rivendicazionista, e di essere “unitari”. Certo è che la storia viene scritta dai vincitori, e che le storie sono tante quante i protagonisti che le hanno vissute: il 14 febbraio, giorno della capitolazione di Gaeta sotto il fuoco piemontese, è anche il “Giorno della Memoria per le Vittime Meridionali dell’Unità d’Italia”.
Ma la tre giorni revisionista include anche un seminario gastronomico “a base di piatti della tradizione borbonica”. Chissà se davanti a una tiella gaetana al polpo, come quella che si mangia oggi al Porto Antico, vicino alla Guardia di Finanza, Enrico Cialdini e Giosuè Ritucci Lambertini di Santanastasia avrebbero trovato un accordo più onorevole per tutti, e anche per Gaeta.
Vai alla home di LineaDiretta24
Leggi articoli dello stesso autore