Dove la Terra è un po’ meno Santa: Tel Aviv e la costa di Israele
Prosegue il nostro viaggio in Israele: a Tel Aviv e lungo la costa la terra è un po’ meno santa, ma sempre ricca di sorprese. E di contrasti
“Two sunny cities, One break”. Se il marketing turistico è utile per capire come un paese si percepisce e si autorappresenta, il caso di Israele è particolarmente significativo. Le immagini dell’ultima campagna pubblicitaria parlano di sole e spiagge, cene, aperitivi e selfie tra Gerusalemme e Tel Aviv, testimonial una sensuale ma rassicurante top model israeliana, Shir Elmaliach. Di certo più efficace di una precedente campagna del 2010, intitolata “Le dimensioni non contano”: lui, tenendo una cartina di Israele poggiata in grembo, dice alla ragazza “non prenderla a male, ma è piccolo”. Il commento più benevolo dei media locali fu che era “una campagna flaccida”.
Insomma, forse per non pensare alle pesantezze della storia e alla scivolosa complessità del presente, il Ministero del Turismo israeliano da tempo tenta di puntare su un’immagine accattivante, giovane e glamour. E se c’è un luogo che incarna la voglia di distrazione e di divertimento, e il tentativo di guardare al futuro per non rimanere incatenati al passato, questo è Tel Aviv e la breve costa del piccolo stato di Israele (esclusa la piccolissima Striscia di Gaza).
“Previsioni per oggi: sempre sole!”
Tel Aviv si definisce una “No-stop city”. Nel city break suggerito dalla di cui sopra campagna fa da contraltare alla più paludata e rigida Gerusalemme, da cui dista solo 50 chilometri: non ha il volto segnato da cinquemila anni di storia e può permettersi di fare la giovane cosmopolita, dinamica e trasgressiva, perfino durante lo shabbat. Insomma, a Gerusalemme ti elevi e a Tel Aviv ti diverti.
Certo, la storia di Tel Aviv, “Collina della Primavera” inizia solo nel 1909, ma racchiude in sé le vicende, i sogni e le aspirazioni di tutto un popolo. Giaffa, piccolo porto oggi inglobato nella città, esisteva già da tre-quattromila anni quando, a cavallo tra otto e novecento, cominciano a insediarsi famiglie di ebrei provenienti da Odessa, da Chisinau e dalla Bulgaria, e si pongono i primi problemi di convivenza con gli arabi. Le famiglie ebraiche (ma anche certe bizzarre colonie cristiane provenienti dal Maine e dalla Germania: anche loro volevano riprendere possesso della Terrasanta) comprano qualche ettaro di sabbia e dune poco più a nord, in un luogo di cui Ezechiele il profeta aveva detto “E giunsi da quelli ch’erano in cattività a Tel-abib presso al fiume Kebar”, dove nasce una città-giardino. Una presenza che diventa troppo ingombrante: gli ottomani nel 1917 cacciano via tutti ma poi perdono la Grande Guerra, arrivano gli inglesi e Tel Aviv nel 1925 fa già 34.000 abitanti. Non solo per accrescimento naturale della popolazione ma per arrivi, arrivi, continui arrivi di rifugiati in fuga da un’Europa sempre più antisemita.
Negli anni Trenta, prima che a Hitler salti in mente di fare altro, le partenze di ebrei dalla Germania sono agevolate, almeno per chi può permetterselo: così arrivano le intellighenzie ebraico-tedesche e le loro committenze artistiche, tra cui il modernismo architettonico del Bauhaus, per il quale nel 2002 la “Città bianca” diventerà Patrimonio dell’Umanità con oltre 1000 edifici inseriti nella lista UNESCO (da non perdere il Bauhaus Centre). I profughi sono di tutte le fasce sociali e il loro inserimento è un costante problema: ci sono gli eleganti palazzi International Style, ma c’è anche l’istruttivo -e solo oggi pittoresco- quartiere yemenita, che parla della discriminazione dei mizrahi, gli ebrei di origine araba, all’epoca degli arrivi considerati poveri, ingenui e deboli. Oggi la città, che fa oltre 400.000 abitanti, colpisce per il suo aspetto moderno, i grattacieli e le spiagge, e per la sua compiaciuta aria cool fatta di caffè, ristoranti, musei, gallerie d’arte e locali alla moda aperti anche di shabbat (ma non i negozi, né circolano gli autobus), città tollerante e gay friendly. Ma siccome proprio qui è approdato il sogno sionista di una società socialista ed ebraica, più che altrove se ne può comprendere l’impatto: visitando i musei militari (da queste parti l’esercito, e le varie formazioni paramilitari che l’hanno preceduto, è oggetto di un vero e proprio culto) e i presìdi della memoria civile e laica del paese, come il Museo Ben-Gurion e soprattutto il Yitzhak Rabin Centre, dove la storia dell’ex primo ministro si intreccia con la storia del moderno Stato di Israele. Un museo dove rivedere molte certezze che ci costruiamo, a distanza di sicurezza, e che ci fanno prendere facili posizioni su cose che generalmente conosciamo poco.
Una sorpresa tira l’altra
Le sorprese continuano risalendo la costa verso nord. Ad Haifa, importante porto commerciale, c’è la sede mondiale del Bahaismo. Sul monte Carmelo, teatro di un’epica sfida tra il profeta Elia e gli adoratori di Baal (e luogo di provenienza dei Carmelitani) c’è il sancta sanctorum di una fede di provenienza persiana, dalla vocazione ecumenica e vagamente hippie: tutti i profeti, da Abramo a Maometto passando per Gesù, Buddha, Krishna e Zoroastro hanno predicato l’unità del genere umano, la pace nel mondo, l’uguaglianza tra i sessi, l’istruzione, la scienza, il progresso. Ai Baha’i è stata concessa una bella fetta di montagna, con palazzi e giardini magnifici e un po’ kitsch che si vedono dal mare, ma non di fare proseliti in terra di Israele. Ad Haifa è molto più visibile la componente arabo-israeliana, e prende forma un paesaggio urbano -che inaspettatamente caratterizza tutte le città israeliane- che ricorda una certa provincia realsocialista europea, dove domina l’edilizia pubblica. A volte par di stare a Katowice, a Poprad, a Debrecen; ma per gran parte dell’anno ci sono più di trenta gradi all’ombra.
Poco più a nord, Akko, l’antica Acri è rimasta più o meno come l’aveva vista Marco Polo. Transito di pellegrinaggi in Terrasanta, con i suoi quartieri genovesi, pisani e veneziani, le fortificazioni crociate e la popolazione araba concentrata nella Città Vecchia, ha visto più volte Mezzaluna e Crocefisso spodestarsi a vicenda e, nel 1948, le forze armate israeliane espellere 17.000 arabi. La densità di storie continua, in Yeretz Israel. Nei dintorni c’è Cesarea, solitari siti archeologici, spiagge per fricchettoni e surfisti, e il Mediterraneo che balugina verso il Libano, indifferente ai confini.
Noi siamo pronti a piegare verso l’interno. In Galilea comincerà tutto un altro viaggio.
(II – Continua)