Tivoli, lo straordinario invisibile agli occhi

Se di Tivoli conoscete solo le famose Ville, forse vi state perdendo il meglio di una città più antica di Roma: l’antica via di accesso, l’archeologia industriale e le acque che non ci sono più

 

tempio-di-vesta-tivoli-03-665x1002A volte capita di abituarsi a luoghi straordinari prima ancora di scoprire che sono straordinari. Ti ci portano da piccolo, ci vai in gita scolastica, poi ci tornerai con l’impressione di conoscerli già, perdendoti così lo stupore e la meraviglia di chi li visita per la prima volta. E comunque, capita che lo straordinario pensavi d’averlo già visto, e invece quello si nasconde finché non sai trovarlo davvero. Uno dei luoghi dove capita tutto questo è Tivoli.

Di Tivoli tutti conoscono la Villa d’Este, molti sono stati a Villa Adriana e qualcuno a Villa Gregoriana; finita la visita, con una sensazione di sazietà si fa una breve passeggiata lungo il corso, via Trevio, senza aspettarsi troppo. Bella la vista su Roma dai giardini di piazza Garibaldi, per carità, ma si ha l’impressione che una volta visto le Ville il più sia fatto.

Se questa è la vostra esperienza di Tivoli, ecco, sappiate che non vi è arrivato niente della magia e della straordinaria suggestione del luogo che incantava Goethe, Stendhal e tutti i viaggiatori del Grand Tour.

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L’entrata è dall’altra parte

Uno dei motivi è che oggi a Tivoli si arriva dalla parte sbagliata. La Tiburtina sale, fa due tornanti attraverso oliveti secolari senza case e baracche, il che vicino Roma è una rarità, tenendo il panorama sulla Campagna romana alla vostra destra. E’ un arrivo davvero suggestivo, ma si tratta di una strada moderna, una ‘carrozzabile’: per millenni Tivoli ha accolto in tutt’altro modo. Poco prima della fabbrica di pneumatici Trelleborg venendo dalla Capitale, la Tiburtina antica piega a sinistra, si chiama Via degli Orti. Seguitela e scoprirete un altro mondo.

villa-di-mecenate1Era da qui che i romani volevano farvi accedere all’antica Tibur. Mentre le case si diradano e si alzano muri di cinta di orti che già sanno di antico, sbuca tra ulivi e alberi da frutto il Tempio della Tosse, una sorta di piccolo Pantheon, un monumento costantiniano per commemorare poderosi lavori stradali fatti sulla via Tiburtina. Lungo la strada un rumore di acque copiose, che scorrono interrate: sono le acque di scarico di Villa d’Este, 800 litri al secondo. Salendo, il grandioso spettacolo del tempio di Ercole Vincitore, dove l’archeologia antica si fonde con l’archeologia industriale: le poderose platee, che servivano a terrazzare l’imponente santuario visibile fino a Roma, diventano mura, rampe, archi e contrafforti delle cartiere Mecenate, attive fino agli anni ’60, e della Centrale Elettrica dell’Acquoria, da cui nel 1892 partì la prima energia elettrica di Roma (con cui si illuminò, non a caso, la zona di Porta Pia), e grazie alla quale Tivoli fu la prima città d’Italia ad avere l’illuminazione elettrica.

Ercole Vincitore. Di una fortuna

centrale-elettricaLo sviluppo industriale della zona fu favorito dall’energia idraulica dei vertiginosi salti dell’Aniene, dalla presenza di mura poderose e ambienti spaziosi, e dalla vicinanza della strada; ma soprattutto da Ercole, non solo dio forzuto ma anche protettore dei commerci e degli scambi, delle industrie e delle transumanze (non sembri strano l’accostamento: pecunia viene pur sempre da pecus, pecora, la forma più arcaica di scambio), insomma una specie di ministro dello sviluppo economico. La via Tiburtina in quanto antica via di transumanza saliva a Tibur, e da lì fino in Abruzzo, passando direttamente all’interno del santuario con il nome di Via Tecta. Qui avvenivano gli scambi, sotto gli auspici del dio che ne tutelava l’onestà, sempre che i contraenti giurassero ‘per Hercle!’ e versassero il dieci percento dell’intero valore dello scambio: così facendo Hercules diventò in breve il più ricco di tutti gli dei. Quello per la via Tecta era un vero e proprio pedaggio, che insieme alla tassa sulle transazioni rese il tesoro del santuario tiburtino di un’opulenza esagerata, più di quello della Fortuna a Praeneste. Oggi l’obolo richiesto da Ercole per la visita del santuario ammonta a 5 euro, a meno che non ci siano spettacoli nell’anfiteatro (con una vista fantastica su Roma).

IlSantuarioattualeContinuando a salire sulla Tiburtina antica, che ora si chiama via del Colle, il rumor di acque aumenta, e sulla destra si apre il vero portale di ingresso di Villa d’Este: oggi è chiuso, ma è da qui che Pirro Ligorio avrebbe voluto farvi entrare ed è da qui che per secoli sono entrati papi, cardinali, capi di stato, nani e cortigiane; e infilando lo sguardo tra le ruggini della cancellata si intravede l’asse di simmetria di tutta la composizione architettonica dei giardini. Entrando da dove si entra oggi se ne perde la percezione.

Siamo ormai nel cuore medievale di Tivoli, tra murature di selci, tufelli e travertini, frammenti di templi, capitelli, iscrizioni monche, teste di statue, vasi di fiori e bottiglie di plastica per allontanare i gatti. Si respira un’aria millenaria e umida di acquedotti sotterranei, di lotte tra Orsini e Colonna, un po’ Trastevere, un po’ paesone d’Abruzzo, un po’ Tivoli, che è più antica di Roma e non assomiglia proprio a nessuno.

Cascatelle-Tivoli

C’era una volta l’acqua

Palombara_indexSalendo ancora fino a piazza Rivarola (nei pressi, su via di Ponte Gregoriano, imperdibile la Budineria Bracchetti) si giunge all’apoteosi: l’antica acropoli, con i templi di Vesta e della Sibilla, tra i monumenti antichi più ritratti dai vedutisti e dai souvenir di tutti i tempi. Oggi si affacciano su uno strapiombo silenzioso e quasi privo di acque, ma lì risiedeva il vero genius loci di Tibur: l’Aniene, il fiume Anius, prima di fare l’impressionante salto verso la campagna romana, generava mille cascatelle ‘filtrando’ attraverso i banchi calcarei di travertino, le cosiddette Cascatelle di Mecenate. Uno spettacolo famoso nel mondo, una coreografia di getti e di zampilli naturali, intercettati da mulini e opifici, ponticelli, ninfe delle acque, ville sontuose, oracoli come Albunea, la Sibilla Tiburtina, che predisse perfino la nascita di Cristo. Poi, come ogni volta che l’uomo gioca col fuoco, o con le acque, credendosi divino a sua volta, l’Aniene durante la piena del 1826 si porta via mezza Tivoli, Gregorio XVI fa deviare il fiume, che lascia un letto vuoto appena riconoscibile lungo la curva di via dei Sosii e il parcheggio di Piazza Massimo, generando una cascata di ‘soli’ 105 metri contro i precedenti 160, ma molto più controllata. Per avere un’idea dei mille getti che scaturivano dalla roccia come da una gigantesca spugna, e dello spettacolo che ne derivava, bisogna visitare Villa Gregoriana.box-tivoli

Il traforo del Monte Catillo fu una delle opere più significative mai realizzate dallo Stato Pontificio. Venne inaugurato con grande meraviglia di popolo alla presenza di papa Gregorio che, posizionato in un punto detto “trono” ordinò l’apertura dei cunicoli. Il fragore fu tale che dapprima la ninfa Albunea, poi Manlio Vopisco, poi Mecenate e infine Ercole dovettero abbandonare Tibur.

Si dice che non vi abbiano mai fatto ritorno.

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