C’era una volta… la Berlino ‘povera ma sexy’
Ritratto di una città-mondo, ribelle e compassata allo stesso tempo, sempre in divenire, da vivere oltre che da visitare. Prima che sia troppo tardi
Le recenti commemorazioni del trentennale del Muro di Berlino hanno riportato alla memoria un tempo che ci sembra ormai lontanissimo. E forse ormai lo è: così come sono sempre di meno quelli che si ostinano a dire che trenta euro sarebbero le sessantamilalire di una volta, a molti ormai non è più ben chiaro come facesse una città a sopravvivere tagliata in due, con una delle due metà recintata su tutti i lati e immersa, come un’isola, in uno stato ostile.
Oggi Berlino attira ogni anno più turisti di Roma. E’ città-mondo, centro e avanguardia di ogni fermento e tendenza culturale e artistica. Se vuoi fare il cameriere per mettere da parte un po’ di soldi vai nell’immensa e sempre più ostile Londra; se sei un musicista, un artista, un creativo, insomma un talentuoso in cerca di un luogo per scambiare e raccogliere stimoli scegli Berlino. Anche per andarci a vivere: perché è accogliente, tollerante e cosmopolita. Una città che fino a trent’anni fa era tagliata in due, ma che settant’anni fa neanche esisteva più, rasa al suolo dalle bombe, oggi è un punto di riferimento europeo e mondiale in tutti i campi della creatività. Altro che la Berlino “triste e molto grande” di Bonetti (anche questa, ormai, se la ricordano sempre in meno).
Diversamente dalla swinging London, dalla New York degli anni ‘80 o dalla Parigi degli anni ’90, che ribollivano di eventi e di novità con ritmi ansiogeni, Berlino più di tanto non si stressa -e non ti stressa. Stravagante, trendy, libera e costantemente in divenire, ma con un’allure rilassata, romantica, perfino un po’ pigra, Berlino è stata il non-luogo che ha potuto sperimentare qualsiasi innovazione quando era piena di spazi vuoti, di parchi poco illuminati, palazzi fatiscenti, archeologie urbane e scantinati abbandonati. Quando il settore Ovest viveva grazie ai ponti aerei di quella che allora si chiamava Repubblica Federale Tedesca, e ogni suo parametro vitale era sostenuto artificialmente, si è verificato un curioso mix tra spirito protestante tedesco, operoso e pragmatico, e una certa attitudine allo struggimento e al ritmo di vita gaudente, quasi mediterraneo. E poi era importante che facesse da rutilante vetrina dell’occidente, un dito nell’occhio del settore Est, della DDR e del suo grigiore.
Ribelle, multiculturale e dinamica Berlino lo era sempre stata. Capitale tedesca solo dal 1871, ha visto subito dopo uno sviluppo tecnologico e culturale impetuoso con cui a fine ‘800 sono nate industrie come AEG, Agfa e Siemens, la prima rivista gay (1896), il primo semaforo d’Europa (1924), il più alto numero di teatri, sale per concerti e cabaret (anni ’20), la prima trasmissione televisiva (1931), i moti spartachisti, la secessione berlinese, l’espressionismo, Gropius e Brecht, una fiorente comunità ebraica e molti altri primati. La città era già stravolta di suo, enorme ma policentrica, una città fatta di città che si chiamavano Charlottenburg, Prenzlauer, Kreuzberg e che una trama incoerente di magniloquenti connessioni neoclassiche tentava di tenere insieme, in un disegno grandioso ma confusionario. Poi il nazismo, e la guerra, e la distruzione totale, e la partizione prima in quattro, poi in due, poi il muro. E la ricchezza di un tempo perduta, la disoccupazione e l’instabilità economica di qua, anche quando JFK esclamava “Ich bin ein berliner!”, la dittatura realsocialista di là, con la sua retorica proletaria, la cappa di conformismo e di repressione-depressione.
La riunificazione, di cui specie quest’anno si è detto ormai tutto, ha ricongiunto una popolazione assuefatta a quarant’anni di paternalismo socialista – ma desiderosa di riscatto – a una abituata all’assistenzialismo di stampo capitalista, benchè ‘dal volto umano’ (Berlino Ovest è stata storicamente governata dalla SPD: anche Willy Brandt ne fu sindaco). L’incontro post ’89, certo con il supporto del poderoso sforzo nazionale per il trasferimento della capitale e di un generosissimo stato sociale, produsse quella Berlino ‘povera ma dannatamente sexy’, (slogan di un altro sindaco SPD, Klaus Wowereit) fatta di pic-nic nei parchi, musica elettronica, feste lungo la Spree, fruhstuck e felafel; luogo della sperimentazione creativa, dell’accoglienza, dove bastano cinque anni per diventare un vero berlinese. Dove arriva gente stanca di città ordinate, borghesi e prevedibili e dove per i 1850 parchi giochi e i 68.000 orti sociali, tra laghetti e foreste urbane sciamano bambini ignudi, biciclette, love parade e vecchietti che prendono il sole. Dove ogni stravaganza è portata con estrema naturalezza, con una particolare forma di eleganza, spontanea e rilassata.
Di musei ce n’erano tanti già da fine ottocento: Pergamon Museum, Neues Museum, l’Alte Nationalgalerie, Bode Museum, tutti sulla Museuminsel. Poi dagli anni ’90 sono arrivati i cantieri, altri musei, le archistar – Frank Gehry, Renzo Piano, Daniel Libeskind, Jean Nouvel – Potsdammer Platz, i restauri, la città scintillante in cui le inaugurazioni delle nuove architetture dovevano essere fantasmagorici eventi-manifesto della capitale ritrovata, democratica, trasparente, vetrata. E anche gli scandali, come il nuovo aeroporto di Berlino-Brandeburgo, 3 miliardi di investimento e una data di inaugurazione che continua ad essere rimandata dal 2011.
La città-Disneyland dei megamusei e della nuova cupola del Reichstag per ora continua a convivere bene con la città alternativa e multiculturale degli artisti e dei giovani -un terzo degli abitanti è arrivata qui dopo il 1989 e del muro conosce solo i murales dell’East Side Gallery. La città che sa appropriarsi di tutti gli spazi, come l’ex aeroporto di Tempelhof che oggi è diventato un enorme parco urbano situazionista, le ex officine dei cortili nei palazzi di Mitte o le case occupate di Friedrichshain divenute gallerie d’arte, laboratori e centri culturali autogestiti, non ancora tutti imborghesiti, sponsorizzati o sostenuti perché diventino arte ‘ufficiale’. Povera, perché non opulenta e noiosa come il resto della Germania; sexy non perché forzatamente trasgressiva, ma perché spontanea, disinibita, sensuale. Dannatamente seducente.
La città, tra le grandi capitali europee, è ancora la meno cara, ma non si sa ancora per quanto. I prezzi, soprattutto delle case, crescono rapidamente, mentre il resto del paese è sempre meno disposto a pagare per una capitale che manda a lavorare meno del 40% della popolazione. La gentrificazione, quel fenomeno che riqualifica le città e che ne stravolge il tessuto sociale nella spirale di valori immobiliari sempre al rialzo, non solo non risparmia Berlino, ma ne ha fatto un caso da manuale: una gentrificazione 4.0, che si presenta con il volto umano, ecosostenibile e friendly ma che presto trasformerà anche i casermoni della Karl Marx Allée, di cui è stato chiesto l’inserimento nel patrimonio Unesco, in esclusivi alberghi, spa, shopping malls. Probabilmente trasformerà i piani alti in residenze artistiche, attici esclusivi e panoramici, e forse si preoccuperà di destinare almeno qualche seminterrato a “chi non ce la fa”. E’ un bene? E’ un male?
Fatto sta che fareste bene ad andare a Berlino, finché siete in tempo per coglierne ancora il suo particolare sex-appeal. In fondo ‘poveri ma belli’ è uno slogan che avevamo inventato noi, e pare fossero bei tempi, quelli.