Il Mongol Rally raccontato da chi ha tagliato il traguardo
Vi abbiamo raccontato cos’è il Mongol Rally -la gara più folle e buona della storia-; vi abbiamo presentato i Kokparbrothers, team nostrano che quest’anno vi ha preso parte e vi abbiamo mostrato attraverso le loro foto lo sport più cruento del mondo: il Kokpar.
Ora vi sveliamo la vera anima del Mongol Rally e ve la facciamo raccontare da chi ha tagliato il traguardo, ovvero proprio i Kokparbrothers formati da lei, Cristina Cosmano, fotografa per talento, reporter per amore della fotografia e forse anche del mondo che ancora non ha immortalato nei suoi scatti e lui, Fabrizio Finocchietti, romano con la passione per la fotografia.
Perchè il Mongol Rally? Perché decidere di mettersi a bordo di un mezzo chiaramente poco sicuro, essendo datato e non adatto ad andare fuoristrada e ad affrontare km e km che separano non paesi, ma continenti?
C: “Ben 15 anni fa, vedendo la prima folle edizione del Mongol Rally, Fabrizio rimase folgorato e disse “prima di morire questa cosa la faccio”. Negli anni successivi successe quello che di solito succede con i vari amici, ci si diceva sempre ‘si che figata ci verrei’ ma alla fine nessuno poteva davvero o prendeva la cosa sul serio. Finchè, dopo alcuni viaggi fatti insieme, Fabrizio lo ha proposto a me che ho risposto immediatamente Si, assolutamente si… sul serio.”
Come affrontare il Mongol Rally?
C: “Sicuramente siamo i meno indicati per dire COME si fa un Mongol Rally… o meglio forse possiamo dire che il Mongol Rally NON va assolutamente fatto come lo abbiamo fatto noi. Delle macchine partecipanti eravamo gli unici senza un portapacchi, delle taniche di riserva, senza scorte di cibo, senza ruote tacchettate. Insoma noi abbiamo affrontato quest’avventura da veri folli, come un assalto all’arma bianca. Impreparati e pronti alla sorpresa.“
Avete consigli organizzativi per chi volesse parteciparvi?
C: “Il nostro consiglio principale è ovviamente: NON FATE IL MONGOL RALLY! Il rally è definito “la più grande avventura della vita”… è vero è una splendida avventura, che richiede fatica e impegno. In realtà il bello del rally è scoprire tutte le disavventure lungo il percorso. Immaginare i luoghi o gli imprevisti e venire sorpresi dai luoghi e da altri imprevisti non previsti. Quindi, come ogni veteran che si rispetti, non dispenseremo alcun consiglio se non: trovatevi dei compagni di viaggio armati di pazienza e pronti a ridere di qualsiasi disastro!”
Avete fatto errori di valutazione?
C: “Ovviamente ne abbiamo fatti svariati, soprattutto sulle tempistiche e le distanze (che sono molto più enormi dell’enorme che possiate immaginare). Inutile descrivere le strade e dire che la tabella di marcia iniziale somiglia più alla lista di una bambina che vuole andare a caccia di unicorni.”
Oltre alle difficoltà tecniche di spostamento, dato che viaggiare a bordo di due cavalli ben nutriti e strigliati sarebbe stato più sicuro, quali sono state le difficoltà, tecniche e culturali, che avete dovuto affrontare? Specialmente nell’approccio con le altre culture.
C:“In buona parte dei paesi che finiscono per stan e in generale in asia centrale la più grande difficoltà è nel comunicare…nel senso che le lingue parlate non somigliano neanche lontanamente a qualcosa che abbia un’assonanza con l’italiano o con l’inglese. Ma nessuna paura perchè la cosa fantastica di tutti i paesi che abbiamo visitato è che le persone sono eccezionali, gentili, disponibili e nonostante il capirsi a gesti tutti sono pronti ad aiutare. Realmente non abbiamo mai vissuto una situazione di pericolo o abbiamo mai avuto paura. Raramente alla frontiera abbiamo incontrato persone “poco sorridenti” (ma vorrei vedere voi a una terrificante frontira sperduta tra gli stan”) per il resto lungo la strada la 500 era praticamente una star.
Persone che suonavano, che salutavano, che ci mostravano bambini da benedire, gente che si incuriosiva, domandava, si faceva un selfie con noi, ci hanno regalato di tutto da calzini a meloni. Un poliziotto ci ha dato tre pomodori dopo averci multato…per eccesso di velocità! Ah alla frontiera turkmena abbiamo avuto in macchina un GPS che ci tracciava fino a che non siamo usciti dallo stato (e che ovviamente è stato controllato rispetto alla dichiarazione in ingresso). Il popolo che abbiamo apprezzato di più? una bella lotta tra iraniani e turchi… che persone straordinarie! Ma abbiamo persone da ricordare in tutto il percorso e sempre con profonda tenerezza!”
Se doveste conservare un solo ricordo, una sola foto, un solo sapore di quest’esperienza quale sarebbe?
C: “Se doveste conservare un solo ricordo? Credo che vedere il kokpar autentico, in un posto in montagna al confine con la Cina, in mezzo al niente, sia stata una delle cose che ci ha emozionato di più. Inutile dire che abbiamo una montagna di ricordi fantastici in fila nella testa. Una sola foto? a dei fotografi? ok, tra l’infinità di foto scattate direi democraticamente di mettere la foto del traguardo in modo che dia un senso di completezza al viaggio. Un solo sapore? il tè… è una cosa che ci ha accompagnato per tutto il percorso e che è diventata un’abitudine oltre che un rituale. Ci ha accompagnati nei pasti e nei momenti di incontro con la gente, nel riposo e nei risvegli, per strada e nei mercati era sempre presente… Nella sua semplicità davvero è stato un filo conduttore.
(Ah e il montone… non ne possiamo più del sapore del montone!)”
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Twitter: @amiraabdel13
Qui tutte le info nel caso in cui decideste di partecipare il prossimo anno.
Tutti i diritti delle foto sono riservati a Cristina Cosmano