Diario di un viaggiatore (o turista?)-Note a margine di un viaggio in Boemia
Qual è la differenza tra un turista e un viaggiatore?
La risposta oggi è molto più complessa di quel che potrebbe sembrare. Anzi, forse è impossibile.
Vi sarà capitato di visitare un posto, e di lamentarvi della quantità di gente che ci avete trovato, e di come quel posto sia diventato “ormai troppo turistico”. Parigi, Praga o Venezia vi propongono file di pullman, negozietti di souvenir che hanno preso il posto di abitazioni e botteghe, file per visitare i monumenti o entrare nei musei, prezzi alle stelle, quartieri storici che hanno perso l’anima, folle urlanti –tra le urla, ben distinguibili quelle dei connazionali, dai quali in genere vi tenete alla larga: all’estero si riconoscono dal colletto della polo alzato i maschi, e dalla borsa a tracolla invece del più pratico zainetto le donne. E questo ormai non solo nella fatidica settimana di ferragosto, ma più o meno tutto l’anno.
Come quando rimani imbottigliato sul raccordo e ti lamenti del traffico, guardi tutti gli altri esseri umani in cagnesco, perché ritieni di essere detentore di un diritto esclusivo; magari perché ritieni, tu sì, di essere un viaggiatore, mentre gli altri sarebbero solo anonimi turisti.
Turboturismo e voi
Il punto è che gli altri stanno facendo esattamente quello che stai facendo tu: non puoi lamentarti del traffico, perché tu sei il traffico. E tu sei, tuo malgrado, la concausa che genera tutti i processi che portano un luogo a diventare turistico: tu hai contribuito a fargli perdere l’anima.
Anche io me lo sono fatto un selfie davanti alla Torre dell’Orologio o davanti a Notre Dame, soprattutto ora che è andata a fuoco, e poi l’ho postato su Instagram. Ho ingrossato le file al Louvre e fatto il giro in barca sui canali, e poi ho cercato un airb&b che fosse in una zona alternativa ma abbastanza centrale. Ho cercato un ristorante tipico ma ‘non turistico’, intendendo con ciò evitare almeno quelli con le foto dei piatti esposte fuori. Ho cercato di individuare gli abitanti del posto per scambiarci due chiacchere, come fossero animali in via di estinzione –perché infatti è così. E ne sono stato io la causa. O almeno, anche io. E’ un problema di numeri, e io sono uno di quelli.
E’ il turismo globale, bellezza. Fa campare migliaia di famiglie e ormai non risparmia nessun luogo del mondo, ed ha le sue storture. Quindi quando si dice, per rimediare al turismo massificato, che bisogna ‘destagionalizzare’, non si intende distribuire quella folla su un periodo di tempo più ampio: si sta tentando di renderla permanente, così com’è. Per tutto l’anno. Com’è giusto, se con quei numeri si vuole creare più lavoro e non meno. Provate a dire a un ristoratore che ad agosto vorreste portargli meno gente.
Praga e Boemia: all’assalto!
Un esempio di tale grottesca giostra è Praga. Una città di impianto medievale, in cui gli spazi sono per lo più angusti, i vicoli stretti, i portici bassi, ed è proprio questo che nei secoli l’ha resa misteriosa, oscura, magica. Ma Karlova è oggi una claustrofobica fiumana di folla diretta a Ponte Carlo e al Castello, o da lì proveniente. Se volete visitare i must come il cimitero del ghetto, il castello stesso o anche il museo di Alfons Mucha, dovete prenotare il biglietto on line da casa, altrimenti dedicherete mezza giornata a fare la fila. Magari, per ingannare l’attesa, potete curiosare tra il merchandising turistico-e che non glielo porti un pensiero a mamma?- Ma non vi farà perdere molto tempo: centinaia di bugigattoli vendono tutti esattamente le stesse magliette, le stesse matite, gli stessi apribottiglie con scritto “Praha”. Per la città, esaltato dall’anomalo caldo estivo, odore pungente di orina e di vomito, lascito notturno, ma anche diurno, di ragazzotti in gita entusiasti della Pilsner Urquell. Se cercate mete alternative, spingendovi per esempio a Cesky Krumlov, nella Boemia meridionale, città patrimonio Unesco dove non sentirete parlare italiano (i compatrioti in genere si tengono sulle mete più prese d’assalto, e all’interno di quelle, nei siti più presi d’assalto) troverete esattamente la stessa situazione, con un turismo più interno, una marea di asiatici in pullman, qualche americano, un paio di spagnole. Solo che gli spazi sono ancora più minuti, e l’effetto dell’assalto tra le anse medievali della Moldava è devastante.
Non è scopo di questa riflessione suggerire politiche per lo sviluppo turistico sostenibile. Ma di tornare alla questione iniziale: cosa distingue un turista da un viaggiatore?
Turisti o viaggiatori?
In effetti, la questione è malposta: se viaggiate per visitare un luogo, siete dei turisti. Bisogna farsene una ragione.
Il punto è se siete turisti consapevoli, o se girate come si gira da Ikea di sabato pomeriggio. Se vi siete letti qualcosa su quel posto, sulla sua storia, su come si è trasformato e presumibilmente si trasformerà ancora. Se questo vi ha spinto a rivolgervi a uno scrittore tenebroso, a un re leggendario, un compositore sordo, a un film che vi ha suggerito una curiosità personale su un ponte, su un’invasione di carri armati, una ricetta, un tram, un incrocio; se qualcosa vi ha risuonato dentro e lì andrete a cercarlo.
Questo vi farà vedere cose che altri non vedono, o almeno non tutti, e vi eviterà il flusso lanzichenecco alabardato di selfie stick e ombrellini gialli dei tour organizzati. Vi farà abbassare la voce e la suoneria del cellulare in un luogo sacro, perché ne coglierete la sacralità, civile o religiosa, e se vi telefona mamma proprio in quel momento magari la richiamerete dopo. Vi risparmierà dai luoghi comuni sulla gente del luogo che non è per niente gentile (e chi lo sarebbe, con una invasione di anarcoidi incontinenti) e da tutte le banalizzazioni sulle culture degli altri, o sulla loro cucina, che al ristorante tipico fanno dire (ad alta voce, sperando che i barbari sentano): comunque come in Italia non si mangia da nessuna parte. Vi impedirà di cercare avventure amorose con la grazia di un ubriaco ai cento giorni, o di fare la pipì in un parco perché lo so, ma non ce la facevo più. Se avrete avuto la bontà di procurarvi una guida prima, magari avrete scelto il pernottamento o i pasti evitando di abbandonarvi a Tripadvisor, dove la recensione di Heinz Beck conta come quella dell’Uomo-cloaca di Arbore in FF.SS. (perché no, non sempre uno-vale-uno). E magari saprete dire almeno Buongiorno e Grazie nella lingua locale.
Insomma, turista sei e turista resterai. E’ un tratto della nostra epoca globale. Ma che sia almeno un turismo consapevole. Claudio Magris, che di viaggi se ne intende, una volta ha scritto: Viaggiare è una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un’altra.
Quindi (e questo lo dico io) bisogna viaggiare, non lamentarsi troppo, non pisciare sui muri e leggersi almeno un libriccino prima di partire.
Al ritorno ci saranno molte più cose da portarsi dentro, e da raccontare.
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