Un cuore di vetro in inverno, Filippo Timi incanta il pubblico con la sua allegoria pop

Che Filippo Timi fosse uno dei più grandi mattatori del panorama italiano si era capito da tempo, ma ora con la sua ultima fatica Un cuore di vetro in inverno che scrive, dirige e interpreta, il pubblico ha un’ulteriore conferma di come quest’eclettico autore sia dotato di sconfinato talento e di uno stile personale inconfondibile che lascia il segno, oltre che di una presenza scenica e di una voce rauca e avvolgente che rende ogni suo spettacolo davvero imperdibile. Nel suo ultimo poetico e suggestivo lavoro, in scena al Teatro Ambra Jovinelli fino al prossimo 9 dicembre, Timi racconta la più cortese delle storie: quella di un cavaliere errante costretto a lasciare la propria amata per andare a combattere contro un fantomatico e inafferrabile drago, per poi tornare da lei trionfante e vittorioso.

un-cuore-filippo-manzini-3-1920x1280Tuttavia il seicentesco romanzo cortese serve a Timi solo come ispirazione per poter creare qualcosa di estremamente contemporaneo – sia nello stile che nel linguaggio – un testo bellissimo e potente che parla di sogni, di paure e di fragilità in un racconto altamente intimista e colmo di lirismo. Lui stesso è infatti quel cavaliere che, con cadenza marcatamente perugina (sua terra d’origine) si mette letteralmente a nudo, mostrando tutta la sua svogliatezza nel dover partire e affrontare quell’irreale drago, metafora delle paure, inquietudini e debolezze che paralizzano lui e l’essere umano in generale. Come ogni romanzo cortese che si rispetti però, il cavaliere non è solo in quest’avventura: ad accompagnarlo ci sono uno scudiero e un menestrello, con l’aggiunta di una prostituta e di un angelo custode in stile Marilyn Monroe che arricchiscono il racconto di storie di solitudine e di malinconia, ma anche di originali e divertenti inserti musicali. Ogni personaggio di questa variegata corte parla un dialetto diverso ma, nonostante la bravura di Marina Rocco, Elena Lietti Michele Capuano e Andrea Soffiantini, quello che travolge maggiormente è il donca di Filippo Timi, una lingua “volgare”che con rime e terzine riesce sapientemente a rendere poetica.

noemi-ardesi-3-1920x1440L’ambientazione in cui i personaggi si muovono è, come nello stile di Timi, una contaminazione di surrealismo ed elementi estremamente pop: c’è un bar di periferia con tanto di insegna a neon, una scala sua cui fare acrobazie, palloncini colorati, nuvole di cartone e un carrellino che porta a spasso l’angelo custode. Atmosfere che ricordano le ambientazioni pasoliniane in cui abilmente convivono sacro e profano, cultura popolare e linguaggio poetico, ma che hanno anche molto delle suggestioni felliniane, forse per quella prostituta dal caldo accento romagnolo che ricorda l’iconica Gradisca di Amarcord. Ad aprire e chiudere lo spettacolo un audio di repertorio descrive lo sbarco sulla luna, metafora di un viaggio forse inevitabile in un nuovo mondo, ricordo di un Orlando che deve recuperare il senno o di un sogno…Prima di chiudere con un memorabile balletto dance in veste nuziale, le varie tappe di questa “sacra” rappresentazione – pur disorientando un po’ lo spettatore per la quantità di riferimenti e spunti – restituiscono un bizzarro ma convincente cavaliere che dimostra tutto il suo coraggio non con la forza, bensì liberandosi della pesante corazza che lo affligge e restando in mutande, nudo sotto la neve con il suo cuore fragile, trasparente e umano proprio come un cuore di vetro in inverno.

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@vale_gallinari