Moby Dick, al Teatro Vascello navigando gli abissi dell’anima
“Andare per mare, all’avventura e lasciando la terra, equivale a mettersi al cospetto di sé stessi e guardare in faccia il proprio abisso”. È con queste parole che il giovane marinaio e narratore Ismaele preannuncia quello che sarà il viaggio sulla baleniera Pequod, non una semplice spedizione a caccia di capodogli e balene, bensì un intenso viaggio negli abissi dell’anima a caccia della bestia nascosta nel profondo dell’uomo. In scena al Teatro Vascello nelle sole due repliche del 10 e 11 ottobre, il regista Davide Sacco ha ipnotizzato il pubblico con il suo Moby Dick, la bestia dentro, avvalendosi delle straordinarie interpretazioni di Stefano Sabelli nelle vesti di un carismatico e furioso Achab e di Gianmarco Saurino nei panni del giovane Ismaele, una sorta di figlio/alter-ego del capitano che nell’originale romanzo di Melville del 1851 sarà l’unico sopravvissuto dell’equipaggio del Pequod e dunque colui su cui graverà l’onere di narrare le sete di vendetta del capitano Achab e le incredibili avventure della sua nave.
L’entusiasmo, l’inesperienza e il brillante ardore negli occhi del giovane Ismaele si fronteggiano con l’austerità e l’imponenza della severa figura del vecchio Achab, “un grand’uomo, senza religione, simile a un dio”, a un eroe o a un impetuoso Ulisse assetato di sapere e conoscenza, ma soprattutto di spietata vendetta nei confronti della bestia bianca che gli ha divorato una gamba e annientato la ragione. Il capitano è accecato dall’ossessione di Moby Dick, deve trovare la balena e ucciderla ad ogni costo, anche se questo significherà sacrificare la sua vita e quella del suo intero equipaggio. A nulla servirà il tentativo di Ismaele di persuadere il suo capitano dal folle intento poiché alla cieca sete di vendetta di Achab si unisce una spaventosa e irrefrenabile furia autodistruttiva che niente e nessuno riuscirà ad arginare. Quella di Achab è una lotta interiore e senza pace, animata da un dolore e da una rabbia che quarant’anni di navigazione non hanno certo mitigato, anzi, gli hanno insegnato che il mare è crudele e feroce, è una bestia affascinate – è vero – ma anche efferata e impietosa che non fa che evidenziare i limiti dell’uomo.
Sulla tolda della baleniera Pequod, meravigliosa scenografia con tanto di alberi e vele ideata dallo stesso Sabelli, Achab e Ismaele solcano i mari della loro interiorità travolgendo gli spettatori con le loro travolgenti interpretazioni: urlano, cadono e si dimenano sul ponte della nave con tale impeto e forza espressiva da rendere tangibile e addirittura fisico il loro irrefrenabile desiderio di sfidarsi e andare, fino alla fine, oltre i propri limiti. Parte del pubblico e fatta accomodare attorno alla nave e di fatto inglobata nell’azione scenica, quasi a diventare equipaggio stesso del Pequod, chiamato, insieme ai protagonisti, a compiere questo estenuante viaggio alla ricerca di Moby Dick, ovvero del mostro che ognuno di noi si porta dentro.
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