Zanzibar: la città speziata dal profumo di tradizione
Zanzibar, la perla della Tanzania, è ben nota per le sue spiagge che ogni anno attirano milioni di persone, facendo diventare il turismo una consolidata fetta dell’economia del paese. Ma Zanzibar non è solo acque cristalline e spiagge candide, la terra delle spezie infatti ha cambiato anima diverse volte nel corso dei secoli, e ad oggi alcune delle sue tradizioni più ancestrali non sembrano voler lasciare il passo alla modernità: una fra tutte la raccolta delle alghe, pratica riservata esclusivamente alla popolazione femminile del luogo.
Zanzibar: la terra delle Spezie che ha cambiato volto
La cultura di Zanzibar è la figlia del matrimonio tra quella araba e persiana; la sua architettura ha subito influenze indiane, europee e moresche e la sua storia fa capire come Zanzibar sia il bacino di confluenza di diverse dinastie. Una delle prime popolazioni che insediarono questa terra furono i Bantu, provenienti dall’Africa orientale, i quali probabilmente crearono piccoli villaggi. In seguito l’arcipelago venne colonizzato da civiltà più potenti quali gli arabi ed i persiani, attratti dalla sua posizione strategica, infatti l’arcipelago faceva parte delle rotte commerciali di queste due popolazioni. Questi scambi commerciali, di cui si ha notizia a partire dal I secolo a.C., influenzarono molto le culture della costa orientale dell’Africa, facendole mescolare tra loro a tal punto di far nascere una nuova lingua: lo swahili, che ad oggi è quella ufficiale della Tanzania. Questo linguaggio si sviluppò come metodo di comunicazione e di interscambio per le reti commerciali che univano Africa e Asia, mettendo insieme elementi bantu, arabi e persiani. In seguito, con l’arrivo degli europei, acquisì anche termini portoghesi e inglesi. Alla fine del XVII secolo il sultano di Oman, in piena espansione territoriale, cacciò i Portoghesi, così Zanzibar fece parte del sultanato fino al 1698. Nel 1861, in seguito ad alcune lotte interne, nacque il Sultanato di Zanzibar. Negli anni successivi, contesa tra le varie potenze europee, la città subì il controllo britannico fino al 1963.
Stone Town: la città dal sapore antico
Nel corso dei secoli questa città ha cambiato più volte volto, ma non ha mai perso la sua anima commerciale e cosmopolita che si può ancora respirare per le vie di Stone Town; collocata nella parte vecchia della capitale di Zanzibar, si trova sulla costa occidentale di Uguja. La sua architettura rispecchia i canoni artistici arabi, persiani, moreschi indiani ed europei; proprio per la sua valenza storico culturale è stata dichiarata patrimonio dell’UNESCO. Come ogni paese arabo che si rispetti il mercato di Stone Town rappresenta una vera e propria attrazione, in particolare il Darajani Bazaar, originario dei primi del ‘900 dove si possono trovare tutte quelle spezie che nella storia hanno reso questo paese una tappa della via delle spezie. Altre attrazioni di Stone Town sono: il Forte arabo, struttura a bastioni edificata dagli omaniti nel XVII secolo; Beit el-Ajaib, la residenza dei sultani e sede del governo coloniale edificata nel 1883 ed infine il Vecchio Dispensario, ex ospizio per i poveri che ad oggi vanta di essere uno dei più bei edifici di Stone Town.
Le acque di Zanzibar dai colori dei Kanga
Zanzibar sta al mare come il Colosseo sta a Roma, la prima cosa che viene in mente alle persone pensando a questa terra sono le sue acque cristalline. Le lunghissime strisce di sabbia bianca si perdono nel mare che nasconde un altro paesaggio incantevole: la barriera corallina. Non per tutti queste spiagge meravigliose sono sinonimo di relax, infatti il mare è la “sede lavorativa” di molte donne del luogo che praticano la raccolta delle alghe. La coltivazione di alghe rosse a Zanzibar iniziò in concomitanza alla crisi del mercato dei chiodi di garofano, al tempo grande fonte di entrate per quanto riguardava il commercio all’estero. Questo bene naturale viene utilizzato nell’industria cosmetica e Zanzibar rimane ad oggi il più grande produttore ed esportatore al mondo di alghe.
La loro coltivazione avviene nel versante non turistico della zona, ed è una pratica riservata esclusivamente alle donne che ne seguono l’intera produzione per poi venderle. Lungo la costa orientale, e durante la bassa marea, ci si può imbattere in gruppi di donne avvolte nei loro kanga colorati chine in acqua, per poi vederle arrivare a riva completamente ricoperte delle alghe raccolte. La tecnica di coltivazione prevede l’allestimento di veri e propri campi realizzati con dei filari sostenuti dalle canne di bambù protetti dalla barriera corallina, qui le alghe crescono in circa due mesi ed i raccolti sono molto frequenti. Le donne passano ore in acqua per la raccolta che avviene a mani nude e, nonostante i loro abiti diano un immagine molto vivace e pittoresca, la realtà dei fatti non lo è altrettanto: la fatica e le ore passate in acqua provocano l’artrite anche nelle più giovani. Dopo la raccolta le alghe vengono messe ad essiccare su delle rastrelliere per due giorni circa, durante i quali perdono circa l’80% del loro peso; un raccolto varia dai 5 ai 7 kg.
I volti diversi che si sono susseguiti nella storia di Zanzibar le hanno conferito i “tratti somatici” che oggi mostra, rendendola meta di relax per i turisti, bacino di tradizioni per i viaggiatori.
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