La notte magica della Roma: racconto di un’impresa epocale
LA NOTTE MAGICA DELLA ROMA – C’è chi crede al destino, al fatto che determinate cose capitino per una precisa ragione in un determinato momento. Che ci sia un grande disegno dietro le cose grandi e piccole della vita. Destino. Se così fosse, sarebbe facile spiegare la notte magica della Roma in Champions League. La notte perfetta, così perfetta che sembra uscita dalla penna di uno scrittore o dalla fantasia di un regista. La Roma, bella e sfortunata, che incrocia sul suo percorso i mostri sacri del Barcellona, l’Invincibile Armada spagnola. La Roma che gioca una gara gagliarda in Spagna, che soffre e cade con due autogol, con le polemiche per un arbitraggio certamente non a favore e che torna a casa con quattro gol al passivo nonostante una gara orgogliosa e intensa.
Arrivi così alla notte del destino. Sali le scale degli spogliatoi e ti trovi al centro di uno stadio gremito da migliaia di tifosi. Tifosi che ci sono anche se sanno che non vinceranno, che sono lì per onorare l’impegno e l’importanza dell’avversario ma che sono consapevoli, in cuor loro, che torneranno a casa come tante altre volte nella loro storia calcistica. La Roma, da sempre, è la squadra bella e un po’ sfortunata, quella in grado di perdere gli scudetti giocando contro il Lecce, quella condannata dal gol dell’anonimo Vavra dopo una rimonta di cuore e anima. La Roma, per tanti anni, è stata la squadra del grido di gioia strozzato in gola, delle goleade subite con il Manchester e con il Bayern. Una squadra generosa, tenace, vera, ma mai davvero a suo agio al tavolo con le grandi. Una squadra de’ core, fatta di grande amore e grande odio, senza mezze misure, come la città che rappresenta.
La Roma è tutto o niente, è passione senza controllo e ti trovi così, dopo pochi minuti, a stupirti del gol di Dzeko, lanciato alla perfezione da De Rossi. Il Barcellona non sembra quella corazzata invincibile, sembra contratto, come se fosse arrivato pensando di dover sbrigare una mera formalità e le avessero tirato una secchiata d’acqua gelata addosso. I giocatori della Roma pressano ogni centimetro di campo, raddoppiano, picchiano, corrono. Corrono come non hanno mai corso nella loro vita, come se fossero i tori liberati per le strade di Pamplona. Il Barcellona trema, trema in più di un’occasione senza riuscire a impensierire mai la piccola Roma. Più passano i minuti, più rimpiangi lo sciagurato gesto di Gonalons all’andata che ti ha condannto ad un passivo così pesante da non lasciare adito a speranze.
In cuor tuo già lo sai, lo hai vissuto tante volte, sai che sta per arrivare la doccia gelata che ti risveglia dal sogno che stai vivendo. Una punizione ottenuta con malizia da Suarez, tiro di Messi e buonanotte alla notte magica della Roma. Invece le punizioni di Messi finiscono alte, Suarez pensa più a simulare che a giocare. Pensi che i giocatori della Roma non potranno continuare a correre come hanno fatto per tutto il primo tempo, che prima o poi caleranno e verrà fuori il talento ispanico. Invece Dzeko, lanciato ancora una volta in profondità, addomestica un pallone in area e viene steso da Pique. Sarebbe rigore e rosso, ma, dopo l’andata, ci si accontenta anche del calcio di rigore. Sul dischetto va il giocatore più discusso. Una vita passata ad essere il capitano del futuro, futuro che è arrivato tardi, quasi a fine carriera, quando il fisico non è più quello di una volta e non sempre le prestazioni sono degne del nome che porta. Il capitano che all’andata ha segnato nella propria porta, dando il via alla disfatta. La palla pesa come un mattone. Daniele calcia in rete le paure e le emozioni di una carriera. Due a zero, ma ancora non basta.
Il Barcellona trema, capisce che la serata è stregata. Davanti non si riesce ad arrivare quasi mai dalle parti di Alisson, dietro si balla e quelle maglie rosse escono da tutte le parti, sembrano quindici. Fazio prova a rovinare tutto con un’entrata che meriterebbe il secondo giallo, ma l’arbitro non ha voglia di mettere le mani in una serata del genere e, come per Pique, continua nella pilatesca direzione di gara. Il Barcellona prova a uscire, la Roma inserisce uomini freschi per provare il tutto per tutto. Poi succede quello che non ti aspetti. Quello che nessuno può immaginare, nemmeno nei sogni più irreali. Manolas, autore dell’altro autogol dell’andata, devia un corner dalla destra, spedendo la palla in fondo alla rete per la terza volta. Lo stadio è un delirio, sessantamila persone, accorse per salutare con orgoglio una stagione europea di tutto rispetto, si trovano tra le mani la serata della loro vita. E’ la notte magica della Roma, ma non è ancora finita.
Guardi il cronometro, c’è scritto 82. Mancano otto minuti, più recupero. Su per giù il quarto d’ora più lungo della tua vita da tifoso. Perché lo sai, lo sanno tutti, che il Vavra di turno aleggia sul campo come uno spettro. Che basta una beffarda palla per cancellare in una manciata di secondi una notte perfetta. Ci prova Messi, dopo una serie di rimpalli, sbagliando la cosa più semplice. Ci prova soprattutto Dembelè, appena entrato, calciando a porta vuota da quasi metà campo, dopo un’azione strana, resa ancor più strana da una regola del fuorigioco insensata. Partono in fuorigioco in due, forse in tre, corrono tutti sul pallone salvo poi lasciarla al terzo. Il guardialinee non sa che fare, lascia giocare, Alisson si immola, spazza la palla che finisce sui piedi di Dembelè. La porta è vuota. L’arco disegnato dalla sfera è lentissimo, uno stillicidio. La vedi scendere piano e vedi la rete muoversi. Già sai, hai già capito, è finita, come tutte le altre volte. Invece no, non questa sera, la palla esce, appena alta. Il respiro e il cuore si fermano.
Il Barcellona sembra tramortito, investito da una valanga che non ha visto arrivare. Al triplice fischio uno stadio, una tifoseria e un popolo abbracciano la loro notte. La serata che rimette in paro i conti con decine di serate storte, di delusioni, di cocenti sconfitte. La Roma, a mezzanotte passata, non ha visto la sua carrozza tornare una zucca, è ancora li, in abito da sera, a danzare padrona della scena. Poco importa che il sogno duri solo un’altra partita o due, la vittoria è adesso, in questa notte e vale come cento trionfi altrove. Perché l’amore e l’odio assoluti non conoscono vie di mezzo, stanotte è amore assoluto, per chi la partita l’ha vista, per chi l’ha sentita, per chi ci credeva e chi non ci credeva, per chi c’era e per chi avremmo voluto che ci fosse. E’ la notte magica della Roma, è la fine di un viaggio e l’inizio di un altro, completamente diverso.
E’ la notte dei sogni, delle coppe e dei campioni, è la notte dopo gli esami, superati finalmente. Ora la Roma è grande, per una sera la più grande del mondo, e, anche se non ha vinto niente, e forse continuerà non vincerà niente, ha ricordato a tutti che il motivo per cui amiamo il gioco del calcio. Non per un nome su una coppa o su un almanacco, ma perché il calcio, più di ogni altro, è lo sport dove chi sta sotto e viene da sotto può trovare l’impresa della vita. Dove anche i grandi cadono, dove cuore, passione, grinta, possono, qualche volta, avere la meglio su tecnica e perfezione tattica. Il calcio è lo sport dei sogni che a volte diventano realtà. Il calcio è speranza e amore puro, soprattutto dopo una notte così: la notte magica della Roma.
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