Incognito, al Teatro della Cometa un tortuoso viaggio nei meandri della mente
[subtitle]undefined[/subtitle]Dopo aver affrontato le teorie della fisica quantistica nel travolgente spettacolo Costellazioni, dove venivano esplorati gli infiniti universi paralleli della realtà, il giovane drammaturgo inglese Nick Payne torna a far riflettere il pubblico italiano sui complessi meccanismi dell’esistenza così che, reduce dai grandi successi di Londra e New York, il suo Incognito arriva finalmente in anteprima nazionale al Teatro della Cometa di Roma, dove sarà in scena fino al prossimo 22 aprile.
Diretto da Andrea Trovato, questa volta lo spettacolo indaga il più affascinante e sconosciuto organo umano: il cervello che, con la sua complessa e ininterrotta attività, dà vita alle funzioni cognitive della mente, all’intelletto e alla misteriosa psiche. Ormai sappiamo bene che in esso risiedono i ricordi, il linguaggio, l’individuale capacità motoria e sensoriale, in altri termini, dal cervello dipende tutta la nostra vita, il nostro modo di concepire il mondo in un certo tempo e spazio. La mente è ciò che siamo e se qualche ingranaggio non funziona alla perfezione nel delicato gioco degli equilibri, ecco che disturbi psichici come nevrosi, epilessia o depressione possono condizionare l’intera esistenza. In Incognito quattro attori interpretano con grande maestria ben 21 personaggi che con repentini salti temporali mettono contemporaneamente in scena tre diverse storie interconnesse tra loro, due delle quali ispirate a fatti reali. La prima riguarda il caso del professor Thomas Harvey che nel 1955 eseguì l’autopsia sul corpo di Albert Einstein rubandone il cervello, al fine di sezionarlo e studiarlo nel (vano) tentativo di giungere a grandi scoperte sulla mente umana e sul segreto della genialità. La seconda storia riguarda invece il famoso paziente Henri M. al quale fu rimossa una parte di cervello per curare la sua epilessia, con una conseguente drammatica perdita della memoria a lungo termine. Due episodi realmente accaduti negli anni Cinquanta che si intrecciano alla contemporanea vita privata e lavorativa della neuropsicologa Martha, affascinata dalle amnesie dei suoi pazienti capaci di dimenticare dolori, ferite e rancori.
In una scenografia assolutamente scarna ed essenziale e con continui salti spazio-temporali, caratteristiche ormai collaudate della sua cifra stilistica, Nick Payne accompagna lo spettatore negli oscuri meandri della psiche, in un tortuoso viaggio che porta ad interrogarsi su questo meraviglioso groviglio di neuroni e sinapsi che ci rende ciò che siamo, che è custode di ricordi, di emozioni e sensazioni. A tratti forse lo spettacolo dilata un po’ troppo il tempo con la ripetizione continua delle medesime scene, ma gli attori sono bravissimi e riescono a tenere bene il passo ai repentini cambi di identità e al serratissimo ritmo che una drammaturgia così complessa impone.
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