Dj Fabo: diritto al suicidio o diritto alla dignità? Dopo il processo a Cappato, la parola alla Consulta
Il caso – Fabiano Antoniani, detto Dj Fabo, 39 anni, scelse di morire in Svizzera perché la vita era diventata più pesante della morte e l’Italia, il suo Paese, non era pronta ad acconsentire a una decisione così estrema. Cieco e tetraplegico, il ragazzo viveva immobilizzato a letto da anni, condizione questa che lo spinse a rivolgersi all’Associazione Luca Coscioni e ad avviare il percorso del suicidio assistito. Fu così che il 27 febbraio 2017, accompagnato dal tesoriere dell’associazione ed esponente dei Radicali Marco Cappato, il 39enne milanese trovò la morte in Svizzera, dove l’ordinamento non punisce chi presta il proprio aiuto al suicidio per motivi altruistici. Al ritorno, Cappato sfidò la legge italiana e si autodenunciò. A distanza di un anno, il termine del processo: la Corte di Assise di Milano assolve l’imputato perché non ha “rafforzato” il proposito suicidiario, e solleva la questione di legittimità costituzionale del reato di istigazione e aiuto al suicidio (previsto dall’art. 580 del codice penale), ritenendo la norma incostituzionale nella parte in cui equipara “istigazione” e “aiuto” al suicidio e, di conseguenza, prevede una pena sproporzionata per l’aiuto al suicidio. Il 3 aprile scorso l’Avvocatura dello Stato dà seguito alla richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri e si costituisce davanti alla Consulta, intervenendo sulla costituzionalità della norma. Resta, così, inascoltato l’appello che l’Associazione Luca Coscioni aveva lanciato, chiedendo al Governo di non intervenire a difesa del reato.
La questione di legittimità costituzionale sul reato di istigazione o aiuto al suicidio – L’Avvocatura dello Stato sostiene l’infondatezza della questione sollevata dai giudici milanesi, anche perché la norma presunta incostituzionale avrebbe potuto essere oggetto di una interpretazione costituzionalmente orientata. In effetti, dichiarando incostituzionale l’art. 580 c.p., si rischia di lasciare impunite condotte diverse da quelle mosse dalla pietas umana, e che sono invece offensive del bene tutelato dalla norma, cioè la vita. Anche una sentenza interpretativa di rigetto fornirebbe, comunque, le coordinate necessarie per far sì che condotte di “aiuto” al suicidio legate alla sofferenza e alla irreversibilità della malattia di un individuo non siano punite, residuando, però, la punibilità per le condotte di istigazione e aiuto realizzate in contesti diversi.
La legge sul biotestamento – Al di là dei risvolti processuali della vicenda di Cappato, la L. 219 del 2017 rappresenta la prima conquista a seguito della “battaglia” di Dj Fabo, poiché consente al paziente di lasciare disposizioni vincolanti in caso di futura incapacità nell’autodeterminazione. Inoltre ogni paziente informato che sia capace di intendere e di agire può accettare o meno il trattamento proposto dal medico curante, così come può scegliere di interromperlo.
La battaglia di Dj Fabo può considerarsi tutt’altro che persa. E chissà che un giorno, non molto lontano, anche in Italia sarà la legge a considerare solidale e altruistico l’intento di porre fine alle sofferenze di chi chiede aiuto per essere libero.