Uno zio Vanja, Vinicio Marchioni porta Čhecov tra le macerie dell’Italia contemporanea
Italo Calvino sosteneva che “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire” e come tutti i grandi classici, anche Zio Vanja di Anton Čechov, oggi considerato uno dei drammi più importanti dello scrittore russo, continua ad essere rappresentato in tutti i teatri del mondo, non accennando a diminuire la sua carica drammatica e la sua straordinaria attualità. Proprio l’universalità del tema della difficile ricerca della felicità e l’analisi delle complesse sfaccettature dell’esistenza umana, ne fanno ancora oggi un testo tra i più riallestiti e riscritti. Nell’adattamento di Letizia Russo infatti, Vinicio Marchioni dirige e interpreta Uno zio Vanja in scena al Teatro Ambra Jovinelli fino al prossimo 25 febbraio e, facendo perno proprio sulla contemporaneità della scrittura cecoviana, ne trasferisce la storia dalla Russia di fine Ottocento all’Italia post-sisma di oggi.
Nell’assoluto rispetto delle dinamiche tra i personaggi e dei dialoghi del testo classico, Vinicio Marchioni ambienta la vicenda cecoviana in una delle province maggiormente colpite dal terremoto del 2016, in un’Italia corrotta, pigra, incapace di percepire appieno le sue bellezze e di valorizzarle, dominata dalla cattiva politica, dalla speculazione, dalla totale mancanza di cultura dell’edilizia pubblica e di sensibilità ambientale. Tra le macerie fisiche e metafora di un Paese ormai in frantumi, i protagonisti anziché ereditare una tenuta agricola come nel testo originale, ricevono in successione un vecchio teatro di provincia in cui lo zio Vanja e sua nipote Sonja lavorano duramente, continuando a versare al professor Serebrijakov, padre di Sonja e vedovo della sorella di Vanja, la rendita ricavata. Una situazione che si ripete da anni uguale a sé stessa, fino a quando la decisione del professore di vendere il teatro rompe i già precari equilibri, facendo uscire con forza tutta la rabbia, il rancore, l’insoddisfazione e la frustrazione per la mancata capacità di realizzare la propria vita, di cambiare sé stessi e il mondo che li circonda. Un’immobilità e un’apatia dell’anima che paralizza i protagonisti da qualsiasi slancio o iniziativa, finendo per rinunciare ad agire e reagire, o se lo fanno, come zio Vanja che in un attacco d’ira tenta di sparare al cognato, fallendo inesorabilmente e miseramente.
Definita come “la tragedia delle occasioni mancate”, la rilettura di Marchioni nell’ambientazione nostrana e in quell’”uno” del titolo che ci rende in qualche modo tutti zio Vanja, mette ancor più in evidenza la totale incapacità di reagire di un’intera civiltà che guarda inerme e indolente la graduale e sistematica distruzione del proprio paese e che, alla continua ricerca di un’astratta felicità, non compie (o non vuole compiere) azioni concrete per raggiungerla, ritrovandosi poi a rimpiangere il tempo passato senza averlo sfruttato a dovere. Marchioni e Montanari sono due mostri di bravura, imponendosi per talento sui palcoscenici italiani, ma anche il resto del cast, tra cui il formidabile Lorenzo Gioielli (Serebrijakov) e la straordinaria Nina Torresi (Sonja) è all’altezza dell’originale impresa, riconfermando Khora.teatro come una delle compagnie di produzione più rilevanti del panorama nazionale, in grado di reinterpretare i grandi classici con un linguaggio contemporaneo, avvicinando così anche il giovane pubblico al teatro e ai suoi testi classici. “Si vive, semplicemente (o ci si avvicina alla morte giorno dopo giorno), e nel vivere si soffre, in un grigiore permanente e alienante” scriveva Čhecov, ma anche che “la speranza è che l’uomo possa diventare migliore una volta che qualcuno gli avrà mostrato come è realmente”.
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