Tengo famiglia. Cannavaro, Donnarumma, Maradona e gli altri
Tengo famiglia. Una frase che si usa per giustificare comportamenti di chi, giocoforza, deve pensare ai figli, mogli e parenti vari. Un’abitudine che crediamo italiana e invece non lo è. Ma se ne è parlato, del tengo famiglia, in questi giorni per la vicenda di Paolo Cannavaro che ha annunciato che lascerà il Sassuolo per raggiungere il fratello Fabio in Cina nella squadra del Guangzhou Evergrande. Il fratello maggiore, ben più blasonato di Paolo essendo stato Campione del Mondo e Pallone d’Oro, lo ha chiamato e lui ha risposto. Ma ancora non è chiaro se andrà a fare il giocatore o entrerà nello staff tecnico. L’importante è però che raggiungerà il fratello che gli ha indubbiamente trovato un buon ripiego alla Serie A, visto che gli stipendi cinesi sono clamorosamente più alti di quelli che può percepire in qualunque altra parte del mondo. Tengo famiglia quindi, Fabio ha sistemato Paolo. Che comunque non se la passava proprio male.
Il tengo famiglia è stato uno dei perni centrali della vicenda, infinita, del contratto di Donnarumma della scorsa estate. Ricapitolando, il giovane portiere è da tutti considerato il Buffon del futuro, probabilmente se non il più bravo al mondo, quello con le maggiori prospettive. Esordio giovanissimo, è diventato maggiorenne da poco, la chiamata in nazionale, la porta da difendere della sua squadra del cuore, finalmente il Milan gli propone un contratto da professionista, 5 milioni l’anno e… imbeccato dal suo agente, il famigerato Mino Raiola, esteticamente la versione meno elegante di Mario Merola, rifiuta. C’è dietro il Real Madrid, c’è dietro la Juve, le voci si inseguono, Donnarumma diventa il simbolo dei calciatori mercenari e viene subito messo in contrapposizione a Totti che ha appena smesso e che si è dimostrato una delle ultime vere bandiere. Agli Europei Under 21 lo chiamano DoLLarumma, gli tirano dollari (falsi, altrimenti col cavolo che li avrebbero lanciati), poi esce un suo tweet nel quale dichiara che invece ama il Milan, due ore dopo chiude l’account Twitter dicendo che glielo hanno hackerato e poi… poi effettivamente torna sui suoi passi e si accorda nuovamente col Milan. Che nel mentre acquista un giovane portiere che di cognome fa Donnarumma e gli fa un contratto da 1 milione l’anno. Guarda caso è il fratello, meno dotato di Gigio ma non ci giuriamo non avendolo mai visto giocare. Ottenuto ciò che voleva il Donnarumma più famoso rinuncia a fare gli esami di maturità
e se ne vola ad Ibiza, probabilmente incurante del fatto che al giorno d’oggi senza almeno il diploma si ha più difficoltà a trovare un lavoro. Il tengo famiglia (o tengo amici, come vedremo) applicato al calcio. Un milioncino in più al fratello che l’ultimo anno ha giocato nell’Asteras Tripoli (che non è una squadra libica ma greca) e tutti i malumori passano (e vorrei vedere). Il Milan è spesso vittima del familismo applicato al calcio. Ricordiamo qualche altro caso. Nel 2001 arrivò al Milan tale Esajas. Balzò immediatamente agli occhi perché pesava 100 chili, e non tutti di muscoli. Esajas era stato un calciatore, nelle giovanili dell’Ajax lo avevano chiamato “il nuovo Gullit”, ma poi si perse per strada. Ma un vero amico non dimentica mai chi ha passato momenti felici insieme e nel Milan giocava, e bene, un vero amico di Esajas, cioè Seedorf. Seedorf riuscì a farlo ingaggiare dal Milan. Ed Esajas si impegnò a fondo a tornare un vero calciatore. Perse 20 chili e riuscì a esordire. Fu perfino inserito nella lista Uefa ma poi scomparve. Troppa ruggine ancora addosso nonostante la dieta ferrea. E quindi il trasferimento al Lecco dove giocò solamente una stagione per poi tornare nell’oblio. Il tengo famiglia in questo caso era più un “Tengo un amico”, ma funzionò. E sempre nel Milan nel corso degli anni furono ingaggiati un amico di Savicevic, e per tale Zizi Roberts amico di Weha. E che dire di Digao, fratello di Kakà. Tre anni sotto contratto al Milan e una sola apparizione, in Coppa Italia contro il Catania ricordata dai più come una prestazione “agghiacciante”. In questo caso il “tengo famiglia” è stato rispettato. Potremmo quindi definire il Milan come una Grande Famiglia del calcio italiano.
Ma non è ovviamente solo il Milan ad avere a cuore l’unione tra fratelli. Nella Roma anni 80/90 il Capitano, simbolo della squadra e romano non era ancora Totti ma il Principe Giannini. Incedere elegante, testa alta ricoperta da una fluente chioma che oramai è andata persa, Giannini aveva già solide basi famigliari nella Roma. Il padre Gildo era uno dei più importanti dirigenti dei capitolini. Ma Giannini era forte, non un raccomandato. Ma ecco che arriva il tengo famiglia, perché Giannini ha un fratello di nome Corrado. Gioca nella Roma Primavera e c’è già chi sogna di vedere i due fratelli in campo a guidare il centrocampo dei giallorossi. Il Principe dichiarò che “Corrado è molto più forte di me alla sua età, vedrete dove arriverà”. Arrivò all’Avezzano e poi si perse in varie cessioni al Borgosesia, Teramo, Cossatese e Vespolate. Perché il tengo famiglia ti fa trovare un posto, ma non te lo fa mantenere. Ma il più celebre fratello miracolato della storia del calcio italiano è senza dubbio Hugo Maradona. Un cognome tra i più ingombranti del mondo, un fratello considerato il miglior calciatore della storia che all’epoca faceva impazzire Napoli. Il più celebre Diego si occupò di trovare un posto di lavoro al buon Hugo che si accasò in Italia nell’Ascoli del mitico Costantino Rozzi. Lui non voleva apparire come il beneficiario del “tengo famiglia” di Diego, ci teneva a essere considerato un vero calciatore e al giornalista del Guerin Sportivo che lo intervistò chiese di toccargli le cosce. Per dimostrare che lui non era un raccomandato perché le sue gambe erano dure come il marmo. Ma non bastano le gambe muscolose per essere un calciatore, bisogna anche saperle usare. E per quanto anche Diego, come il Principe Giannini, dichiari che “diventerà più forte di me”, dopo la breve e poco proficua esperienza ascolana, Hugo si perderà in vari campionati, sempre meno prestigioso, da quello spagnolo a quello austriaco a quello giapponese per finire poi in Canada, perché non basta che il più grande calciatore dica “Tengo famiglia” per fare di te un calciatore. Lo sa bene l’altro fratello di Maradona, Lalo, anche lui proposto al mondo del calcio e anche lui espulso da esso in tutta fretta.
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