Il futuro della questione curda dopo la guerra in Siria
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Mentre la diplomazia internazionale prepara piani di pace per la Siria dopo la caduta di Raqqa, la questione curda in Medio Oriente continua ad essere largamente ignorata. L’YPG, organizzazione para-militare curda in Siria, è stata una delle forze in prima linea contro la lotta allo Stato Islamico, ma l’aiuto di cui hanno beneficiato le potenze internazionali difficilmente sarà ripagato. Le discriminazioni subite negli anni dalla popolazione curda hanno origine da un pasticcio europeo e risalgono alla suddivisione dell’impero Ottomano decisa da Francia e Inghilterra, che creando nuovi stati indipendenti esclusero del tutto i curdi. Questo popolo di 30 milioni di persone si ritrovò senza uno stato, costretto a dividersi tra Turchia, Iraq, Iran e Siria e a subire discriminazioni che perdurano ancora oggi, in Turchia in particolar modo. Qui si tentò di cancellarne la cultura e la storia, in nome della creazione di una Repubblica Turca unificata sotto gli stessi valori.
La situazione non è migliorata in tempi più recenti: l’attuale presidente turco Recep Tayyip Erdogan considera il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), fondato in Turchia nel 1978, alla stregua di terroristi: un gruppo armato che ha intrapreso un’insurrezione decennale minacciando la sicurezza del paese. Finora, il presidente turco ha fatto di tutto per escludere i curdi dell’Ypg dal colloquio di pace volto a porre fine alla guerra civile siriana iniziata nel 2011. La giustificazione di Erdogan è che nè il Pkk nè il Pyd hanno a cuore il benessere e il futuro della questione curda in Siria. Ciò che la Turchia vuole evitare a tutti i costi sono le rivendicazioni indipendentiste dei curdi in Turchia, che rappresentano il 18% della popolazione totale. In occasione del vertice di pace in Siria dello scorso 22 novembre, Erdogan ha dichiarato di non escludere una sua cooperazione con il dittatore siriano Bashar al-Assad contro le autorità curde del Pyd nel Kurdistan siriano.
Ankara ha il potere di ricattare l’Unione Europa (che chiede il rispetto delle minoranze etniche) sulla questione curda, in virtù dell’aiuto che le fornisce nel controllo dei flussi migratori, e finora la sua strategia ha avuto successo. Un segnale di cambiamento si è però intravisto con la recente sentenza della Corte di giustizia belga, che ha assolto 42 membri del PKK stabilendo che è priva di fondamento l’accusa secondo cui il partito dei lavoratori del Kurdistan sarebbe un’organizzazione terrorista. Di conseguenza, è stato invalidato l’inserimento del partito nella lista dei gruppi terroristici, che fu il risultato delle pressioni di Erdogan su Stati Uniti ed Europa. Difficile pensare però che quest’ultima prenda improvvisamente a cuore la situazione e le rivendicazioni curde, dopo averle a lungo ignorate. Intanto, dopo la recente ritirata degli aiuti statunitensi al Pyd in Siria, si sono fatti avanti i Russi con sostegno aereo e logistico, riaccendendo le speranze dei curdi di avere una voce al tavolo del dialogo, da cui finora sono sempre stati esclusi.
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Twitter autore: @JoelleVanDyne_