Anche tu sei sporco del sangue yemenita
Un atlante geografico dà spazio a molti luoghi noti: Stati Uniti d’America, Russia, Europa, Australia e via dicendo. Alcuni punti di questo però lasciano residuare nell’immaginario collettivo alcuni vuoti, vere e proprie aree nebulose senza denominazione alcuna: uno di questi è lo Yemen.
Lo Yemen è situato nell’estremo sud della penisola araba, epicentro dei principali terremoti bellici che scuotono (ma non troppo) il pianeta. I suoi confini vedono a nord l’opprimente presenza dell’Arabia Saudita e ad est lo stato dell’Oman, mentre le sue coste sono bagnate a oriente dall’Oceano Indiano e sul versante opposto dal Mar Rosso, il quale prende origine proprio dallo stretto di Bab el Mandeb, controllato per metà dallo stesso stato yemenita. Basterebbe già questa rapida descrizione geografica a mostrare l’importanza strategica che questa nazione detiene, grazie alla sua collocazione su quello stesso stretto che ogni giorno vede il transito di innumerevoli barili di petrolio qatariota, saudita e provenienti dagli altri paesi del golfo, diretti verso i mercati europei e statunitensi.
Sarà un caso, ma dal 2012 questo Stato, (il più povero tra tutti i Paesi del medio oriente) è flagellato da una guerra civile. Il copione è sempre lo stesso: da una parte un gruppo estremista sciita, gli Houthi (in questo caso la maggioranza nel paese) e dall’altra una minoranza sunnita, attualmente configurabile nel gruppo terroristico di Al Qaeda. I primi spalleggiati dall’Iran, i secondi dai Paesi del Golfo e dagli Stati Uniti d’America. Potete approfondire qui l’argomento, fondamentale alla comprensione di ciò che segue è soltanto l’attuale ostilità nel paese della fazione sunnita (il ramo di Al Qaeda yemenita) nei confronti del gruppo sciita capeggiato da Abdel Malek Al Houthi, personaggio che ha posto in essere un’incredibile scalata al potere dopo le morti del padre, ex capo della coalizione (2005), e del fratello (2004), fondatore stesso del gruppo Houthi.
La situazione è devastante. L’ONU riporta 5700 vittime tra soli civili dal marzo di quest’anno ad oggi, mentre l’OMS ha registrato nel solo mese di aprile 640 vittime, 2.200 feriti e circa 330.000 profughi causati dai bombardamenti sauditi tesi a colpire gli Houthi. Migliaia i bambini in stato di denutrizione e le persone bisognose di aiuto. I bombardamenti sono portati avanti dall’aeronautica militare dell’Arabia Saudita (RSAF), interessata ad evitare che la regione non cada in maniera stabile sotto un controllo di matrice sciita, rischiando in tal modo l’egemonia politica ed economica dell’Iran (da sempre ostile ai sauditi nelle dispute mediorientali). Gli stessi sauditi dai quali il nostro primo ministro Matteo Renzi si recò in visita nel 9 ottobre scorso, accompagnato dall’Ad di FINMECCANICA Mauro Moretti. Una visita che fa riflettere se osserviamo alcuni dati degli ultimi anni riguardanti il paese in questione: il giro d’affari che ruota nel mercato di armi in Arabia Saudita ammonta a 2,6 miliardi di euro. Il 35% di questi prodotti è destinato a mercati quali quello nordafricano o medio orientale, al momento teatri di guerra. L’Italia ha incassato dallo stato Saudita, tra il 2005 e il 2012, ben 375 milioni di euro in cambio di armi; nei rapporti con il Qatar gli incassi ammontano a 146 milioni tra il 2012 e il 2014, mentre la situazione è ancor più variopinta se si volge lo sguardo al Kuwait: un memorandum siglato l’11 dicembre del 2003 e convertito con legge del parlamento (147/2005), consente rapporti d’intesa militare e di difesa tra i due stati, sottolineando l’impegno alla realizzazione di affari economici riguardanti materiale bellico. Accordo rinnovato nel non troppo lontano 18 luglio 2012, con fiore all’occhiello la vendita al Kuwait, per 8 miliardi di euro, di 28 cacciabombardieri da parte del consorzio Eurofighter, nel quale la stessa Finmeccanica occupa un ruolo di rilevanza. Tutto questo sembrerebbe andare in senso diametralmente opposto alla norma in vigore sul controllo di import, export e transito di armi (l.185/1990). E’ sufficiente un rapido sguardo al primo articolo della stessa per capire come gli affari italo-sauditi non siano poi così cristallini come Renzi vorrebbe far credere: “L’esportazione, l’importazione , il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiale di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione e la delocalizzazione produttiva devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia. Tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. ” E per di più è riconosciuto (su ammissione dello stesso ministro Pinotti) che gli Stati del Golfo abbiano destinato circa 40 milioni di euro in armi allo stesso Stato Islamico (tanto di moda di questi tempi) nell’ultimo anno.
E che dire allora delle bombe (modelli MK82 e MK84) prodotte da RWM Italia SPA (una controllata della tedesca Rheinmetall), protagoniste di un’inchiesta di reported.ly: Malachy Browne infatti, attraverso un semplice mezzo come FlightRadar24.com, ha tracciato tutto il percorso che le bombe, (fabbricate nello stabilimento RWM di Domusnovas, in provincia di Cagliari) hanno effettuato da un aeroporto civile sardo fino ad una base militare del regno Saudita, a Taif. Bombe che vengono poi sfruttate nel conflitto Yemenita in corso, come testimoniato dalle fotografie scattate da Ole Solvang della ONG Humans Right Watch. Lato agghiacciante della vicenda è dato da una rapida osservazione delle partecipazioni all’azionariato della Rheinmetall, che vedrebbe tra i propri soci il fondo pensionistico, quello per l’istruzione ed altri fondi dello Stato italiano. Tradotto in parole povere equivale a dire che non pochi italiani vedono oggi macchiata del sangue yemenita la propria pensione. Il tutto ha suscitato una duplice denuncia parlamentare del deputato Massimo Pili, appartenente al gruppo misto, la cui richiesta di blocco immediato delle partenze non ha ricevuto però approvazione né dall’ ENAC (Ente nazionale per l’aviazione civile, secondo il quale il volo era autorizzato) ,né tantomeno dal governo. Come se un ben fornito gruppo di bombe ricche di tritonal, sparse tra aerei civili della compagna Ryanair, fossero una sciocchezza. E alla luce di questa vicenda, non passa di certo inosservato il livello di allerta antiterrorismo adottato per tutto il territorio sardo, più rigido rispetto alle misure prese per il continente. Ma ognuno è libero di interpretare questo fenomeno nel modo che preferisce.
Non è finita qui. Dalla stessa inchiesta portata avanti da Browne, emergono i documenti tramite cui la nave cargo Jolly Cobalto ha ottenuto il lasciapassare dalle autorità Saudite per il transito oltre il porto di Jiddah (sulla costa occidentale) nel maggio del 2016. Nave cargo piena di armamenti (bombe, sempre del modello MK82 ed MK84) diretta al porto di Abu Dhabi, Emirati Arabi. Un altro Paese che non va proprio di pari passo con il rispetto dei diritti umani. Eppure lo stesso articolo 1 della 185/1990 vieterebbe il commercio di armi con Paesi che non rispecchiano i valori della nostra costituzione, o addirittura con Paesi in stato di conflitto armato. Ma ancora una volta la difesa del dio denaro sembrerebbe scavalcare i capricci del legislatore italiano. La verità è che non siamo di certo soli. Il 16 novembre del 2016, Il Dipartimento di Stato Americano ha comunicato in una nota l’imminente vendita di bombe intelligenti alla stesso Regno d’Arabia, per una cifra stimata in 1,29 bilioni di dollari. Il fine rivendicato dagli USA è donare stabilità alla regione medio orientale. Grazie alle bombe sganciate dai Sauditi. Il tutto suggellato dalle dichiarazioni rilasciate all’agenzia Reuters dal generale Americano Charles Brown che, impressionato dalla bontà delle operazioni militari saudite nello Yemen, esalta la comune visione militare-strategica di Washington e Riyad.
Nel frattempo Russia e Iran forniscono appoggio strategico-militare al versante opposto, la fazione sciita degli Huthi, oggi decimata dalle forze sunnite, l’Aqap, esponente yemenita di Al Qaeda, sostenuta dalla stessa aeronautica saudita, ma richiedente al tempo stesso una propria indipendenza nel sud est del paese. Chiaramente si tratta di conflitti che meriterebbero un’analisi più approfondita, in virtù della complessità che ne caratterizza i protagonisti strategici dal punto di vista geopolitico; complessità che viene sempre meno per quanto riguarda invece l’aspetto meramente finanziario.
Doveroso chiudere con un ricordo dei funerali di Valeria Solesin, la donna italiana assassinata durante gli attentati a Parigi. Doveroso concludere con l’immagine di chi avalla la vendita di macchine mortali, salvo poi stringersi ai parenti delle vittime, mostrando finto cordoglio per chi paga con la vita una guerra dai contorni non ben definiti.