Suicidio: un algoritmo ne previene il tentativo
“È concepibile che si ammazzi una persona per contare nella sua vita?”, si domandava Cesare Pavese prima dell’atto estremo. Il suicidio è un atto che non possiamo controllare negli altri ma, da oggi, sarà possibile prevederne il tentativo. Come? Grazie a un algoritmo frutto dell’intelligenza artificiale. A lavorarci, gli scienziati della Carnegie Mellon University e della University of Pittsburgh americane.
Prevedere significa prevenire un tentativo di suicidio. In che modo? Grazie a un algoritmo figlio dell’intelligenza artificiale, capace di elaborare immagini di risonanza magnetica cerebrale che registrano le reazioni di una persona alle emozioni. Ci stanno lavorando gli scienziati della Carnegie Mellon University e della University of Pittsburgh americane, che in uno studio pubblicato su ‘Nature Human Behaviour’ sono riusciti per la prima volta a distinguere con un’accuratezza del 91% persone a rischio di togliersi la vita da altre che non ci avevano mai pensato, e addirittura a riconoscere al 94% chi il suicidio in passato l’aveva tentato veramente. L’esperimento ha coinvolto 34 persone, 17 delle quali avevano avuto pensieri suicidari (8) o avevano tentato l’estremo gesto (9), mentre le altre 17 rappresentavano il gruppo di controllo (non a rischio suicidio). Tutte sono state sottoposte a risonanza magnetica cerebrale mentre analizzavano 3 elenchi di 10 parole l’uno, collegate all’idea del suicidio nella prima lista (termini come ‘morte’), a concetti negativi nella seconda (per esempio ‘tristezza’) o positivi nella terza (‘spensieratezza’). I ricercatori, hanno così osservato che 6 parole e 5 aree del cervello erano quelle più indicative nel discriminare le persone appartenenti al gruppo suicidio o al gruppo controllo. Sulla base di queste informazioni (parole e immagini cerebrali associate), hanno quindi elaborato e perfezionato l’algoritmo di previsione. “La necessità più immediata, è quella di verificare i risultati ottenuti su un campione molto più ampio di persone”, ha spiegato David Brent, docente di psichiatria, pediatria ed epidemiologia all’Università di Pittsburgh.
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