Medea, al Teatro Quirino il capolavoro di Ronconi

A circa vent’anni dalla prima messinscena, l’irriverente e scandalosa Medea di Luca Ronconi resta un capolavoro indiscusso e pietra miliare del teatro italiano che sfugge al tempo che passa e a ogni tentativo di superamento, in termini di modernità e dinamicità registica. Riallestito da Daniele Salvo, lo spettacolo è un doveroso omaggio al grande Maestro scomparso nel 2015 da parte di uno degli artisti che ha lavorato con lui più a lungo e in maggiore vicinanza: oggi come allora il grande Franco Branciaroli è dunque di nuovo protagonista della storica Medea diretta da Luca Ronconi nel 1996, in scena al Teatro Quirino fino al prossimo 5 novembre.

MedeaUna tragedia classica di Euripide che da circa 2600 anni non smette di essere rappresentata per la potenza “della ferocia distruttiva”che annienta ogni raziocinio e per quei sentimenti narrati (e incarnati) di rancore, vendetta, gelosia e follia omicida da sempre insiti nell’essere umano e che non cessano di affascinare. La grande innovazione di Ronconi fu quella di far interpretare Medea da un uomo, da Branciaroli appunto, per mettere da parte quel riscatto femminista di donna che si vendica del marito che l’ha tradita, a cui spesso l’eroina della mitologia greca è associata, ed esaltarne invece la mostruosità, il mistero e la minaccia dello “straniero” approdato in una terra che non gli appartiene e che dunque non esita a minare alla base, uccidendone i regnanti e sterminandone le future generazioni. Pertanto Branciaroli non interpreta una donna, bensì un uomo che recita una parte femminile, usando cioè la maschera della femminilità per compiere i suoi atroci delitti. E lo fa in modo sublime, rendendo la figura di Medea inquietante, ambigua, enigmatica, capace di alternare i toni della voce in una gamma infinita di sfaccettature funzionali al fine da perseguire: roca, cupa e profonda, ma anche subdola e stridula. Il coro si trasforma in un gruppo di casalinghe quasi sempre presenti alle azioni e alleate di Medea in una sorta di solidarietà femminile, Giasone è uno spavaldo Alfonso Veneroso mentre gli uomini del Re Creonte degli oscuri e rispettabili gangster.

Sul palco un’enorme scalinata su cui salire e scendere a perdifiato, su nelle alte sfere del Palazzo reale e poi giù, nell’inferno dei bassi istinti e dello spietato piano che man mano si dispiega sul palcoscenico. Qui la scenografia è composta da vecchie sedute da cinema e schermi su cui inizialmente vengono proiettate immagini di organi interni e la bellezza di un natura ancestrale, ma poi quelle di una metropoli americana del  XX secolo, come se fossero gli attori stessi a dover assistere a qualcosa, fino a che l’enorme schermo centrale non si abbatte su Giasone e rivela l’atroce gesto compiuto dalla moglie Medea. Una sposa con le mani intrise di sangue che ha massacrato i suoi figli, che ha commesso il peggiore dei delitti al solo scopo di vendicarsi e ferire l’uomo che l’ha tradita e umiliata. Sublimi interpretazioni, dialoghi carichi di astio di una coppia che si separa, talmente moderni da far venire i brividi, sentimenti umani e contrastanti di amore per i figli e rancore per il marito che immergono lo spettatore nella sanguinosa e raccapricciante tragedia a cui assiste: suggestioni visive e vocali si susseguono tenendolo inchiodato come fosse di fronte a qualcosa di irripetibile e definitivo, come se stesse prendendo parte a un capolavoro senza tempo.

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@vale_gallinari