Corte UE: illegale il divorzio islamico nei paesi dell’Unione Europea

Il divorzio islamico “privato” deciso davanti ad un tribunale religioso non sarà considerato legale nei paesi UE; lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione europea dopo il ricorso di una donna siriano-tedesca. Secondo il giudice la decisione unilaterale di porre fine al matrimonio violerebbe uno dei principi garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali: quello della non discriminazione di genere. A poter chiedere, e ottenere, il divorzio infatti, sono soltanto i mariti. «Si tratta di un divorzio privato che non si basa sulla decisione di una giurisdizione o di un’autorità pubblica», si legge in un comunicato della Corte. All’origine della sentenza c’è il caso di una coppia di nazionalità siriano-tedesca. Il marito, recatosi in Siria nel 2013 per richiedere il divorzio davanti ad un tribunale religioso, ha visto poi confermata la sua richiesta anche dal Tribunale Regionale Superiore di Monaco. La corte aveva inizialmente dato l’ok, sostenendo che il divorzio in questione era regolato dalla legge siriana.

Un caso simile, che ha fatto intravedere una luce di speranza per i diritti delle donne islamiche, è accaduto di recente in India, dove la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale la pratica del triplo talaq, la formula pronunciata dai musulmani per divorziare istantaneamente. L’assurda pratica era prerogativa dei soli mariti, e permetteva a questi di ripudiare la moglie in qualsiasi momento e non necessariamente in presenza della donna. Le islamiche indiane hanno festeggiato una vittoria e un passo in avanti per i propri diritti, come succede in questi giorni anche in Tunisia, dove una nuova legge ha garantito alle donne un diritto finora negato: quello di poter sposare chi vogliono, indipendentemente dal credo di appartenenza.

Decisione che non è piaciuta alla componente conservatrice del paese. La preoccupazione principale dei sindacati religiosi si baserebbe sulla convinzione che un matrimonio tra musulmane e non musulmani non potrebbe essere considerato un vero matrimonio secondo la religione islamica. Secondo una norma del 1973 infatti, le donne tunisine potevano unirsi in matrimonio unicamente con uomini di fede musulmana. Non è più così: una vittoria che si aggiunge ad un altro importante riconoscimento: lo stop al “matrimonio riparatore” che consentiva il “perdono” per gli stupratori. Tutte decisioni che dimostrano come la legge islamica della Sharia non possa essere utilizzata come pretesto per scavalcare i diritti umani e che in Tunisia, come in alcuni altri paesi islamici, si va – se pur troppo lentamente – nella direzione dell’uguaglianza tra uomini e donne.