Morte di Pino Pelosi: condannato per l’omicidio di Pierpaolo Pasolini, ‘si porta il segreto nella tomba’
È di ieri la notizia della morte di Pino Pelosi, l’uomo condannato per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Malato da tempo di cancro, Pelosi si è spento ieri presso “Villa Speranza”, l’Hospice Oncologico dell’ospedale.
Classe 1985, Pelosi trascorre la sua infanzia e adolescenza nel quartiere Setteville di Guidonia, entrando presto nel circolo della prostituzione maschile. Così la notte tra il 1 e il 2 novembre del lontano 1975 Pelosi, che allora aveva soli 17 anni, viene fermato dalla polizia sul lungomare di Ostia, dove guidava contromano e ad un’elevata velocità. Si scoprì quindi che l’Alfa guidata dal Pelosi apparteneva a Pasolini, il cui corpo intanto era stato ritrovato senza vita in un campo dell’Idroscalo di Ostia: ammise il furto. Ma fu il ritrovamento di un anello accanto al corpo dello scrittore che fece ricadere i sospetti su di lui: si trattava infatti dell’anello donatogli da Giuseppe Mastini (detto Johnny Lo Zingaro). Pelosi pertanto viene trasferito nel carcere di Casal del Marmo e interrogato pochi giorni dopo, dando una nuova versione dei fatti: adescato da Pasolini nei pressi della Stazione Termini, si era recato insieme allo scrittore ad Ostia per un incontro sessuale, poi degenerato. Pasolini lo avrebbe colpito con un bastone e lui si sarebbe difeso, lasciando a terra lo scrittore per poi investirlo accidentalmente durante la fuga.
Nel 1976 fu quindi condannato a 9 anni e 7 mesi di reclusione per “omicidio volontario in concorso con ignoti”, ritenendo che ci fossero stati dei complici e intravedendo ben altre motivazioni dietro il delitto, anche se poi la sentenza della Cassazione del 1975 ribaltò la situazione, escludendo la complicità di terze persone e appoggiando il movente sessuale. Nel 1983 ottenne la libertà condizionata e nel corso degli anni fu arrestato più volte per rapina, tornando libero nel 2009. Con la morte di Pino Pelosi si chiude il sipario sull’omicidio Pasolini. Ma, come dichiara all’Adnkronos uno degli avvocati difensori, Nino Marazzita, “Pelosi si porta nella tomba il segreto di come effettivamente si sono svolti i fatti“.
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