Governo duro su immigrazione: tempo di urne?
Gli ultimi giorni hanno lasciato grande scompiglio intorno al tema immigrazione: vale quindi la pena provare a unire i puntini, ma non prima di aver affrontato una considerazione di vitale importanza.
Punto primo. Il dibattito mediatico scatenato intorno a questo tema così caldo, cela gelosamente il vero nocciolo della questione: questo riguarderebbe in sostanza la connessione tra le scelte politiche in materia di gestione delle frontiere e la tutela del diritto fondamentale al lavoro.
Punto secondo. Avete presente tutti i dibattiti portati avanti nei salottini televisivi a suon di strafalcioni, grida, supercazzole e liti? Il tema immigrazione non varrebbe questo prodigioso focus mediatico più di quanto non lo meriterebbero, ad esempio, l’approvazione del CETA, il recente salvataggio delle banche Venete (anche se qui, per forza di cose, qualcosa è uscito allo scoperto), un serio dibattito sull’euro e sulle politiche di austerity applicate in alcuni paesi dell’eurozona.
Lo spettatore medio dell’annosa questione migranti è ormai abituato ad assistere prevalentemente a due fazioni: da una parte chi vorrebbe chiudere le frontiere per privilegiare l’interesse nazionale, dall’altra chi si dichiara invece pronto ad accogliere indiscriminatamente tutti, in segno di solidarietà verso popoli in fuga versanti in condizioni ben peggiori della nostra.
Il Governo Italiano, come molti avranno colto, ha fatto a lungo parte della seconda categoria.
Il vento sembra però essere piuttosto cambiato nell’ultima settimana, portando l’esecutivo a esprimersi in termini sostanzialmente differenti rispetto a quelli cui ci aveva abituati. A cavallo tra il 28 e il 29 giugno sarebbero sbarcate sulle nostre coste 12000 persone, evento che secondo alcuni avrebbe configurato un punto di non ritorno, tale da portare Gentiloni e il Viminale ad alzare i toni contro Bruxelles: «I Paesi Ue la smettano di girare la faccia dall’altra parte, perché questo non è più sostenibile. Possiamo parlare delle soluzioni, delle preoccupazioni, ma voglio ricordare che c’è un Paese intero che si sta mobilitando per gestire questa emergenza, per governare i flussi, per contrastare i trafficanti».
Parole davvero strane se pronunciate da chi, neanche una settimana prima, lasciava intendere che l’Italia fosse “soddisfatta” della gestione sul tema immigrazione. E non ce ne voglia l’Huffpost, ma la sua avvincente ricostruzione circa il repentino cambio di programma di Minniti lascia davvero molto spazio alla fantasia dato che i numeri in aumento sull’immigrazione sono noti a Palazzo Chigi ormai da anni, non da mesi o settimane.
Ancor più strane le parole del premier a proposito delle ONG, sulle quali Gentiloni si è detto pronto a discutere il ruolo da queste svolto. Anche in questo caso è giusto ricordare come il governo si espresse nel mese di aprile in seguito al polverone sollevato dalle dichiarazioni del procuratore Zuccaro:
Evidente, senza addentrarci nel merito dei contenuti, dato il loro elevato contenuto di nulla cosmico (per i motivi che mi appresto a esporre), il voltafaccia operato dal governo a causa risultati elettorali nell’ultima tornata di amministrative. Il Partito Democratico ha preso una bella batosta e, facendosi due conti, avrà sicuramente notato la traslazione di un consistente elettorato a destra. Non è un caso che Gentiloni stia esternando da meno di una settimana le stesse dichiarazioni che Salvini rilascia sovente nelle prime serate di mezzo palinsesto televisivo.
Ma c’è un’altra questione legata al rastrellamento di consensi: il PD è consapevole che fare la voce grossa con Bruxelles sul tema immigrazione potrebbe essere un buon emolliente nel breve periodo, ma allo stesso tempo è perfettamente cosciente del fatto che all’interno dell’Unione Europea di solidarietà non si parla e non si è mai parlato e che quindi tale soluzione è destinata a cadere nel medio-lungo periodo. Ecco quindi la necessità di raccogliere un consistente nuovo numero di elettori, teneramente imboniti dall’ondata di calore loro concessa attraverso il conferito diritto di cittadinanza: questo sarebbe il motivo alla base della battaglia portata avanti dal PD sullo Ius Soli, non una legge in nome dei diritti civili sbandierati qua e là dalla sinistra dei giorni nostri (quella di ieri ben se ne guardava, come ci insegna un inatteso Giorgio Napolitano d’altri tempi) ma la creazione di un nuovo serbatoio elettorale cui attingere.
la vulgata sarà che minniti fa il duro, per alcuni anche cattivo. la realtà è che faranno più accampamenti ovunque https://t.co/eWTETEkW3r pic.twitter.com/8cAYJMIiAV
— federico bosco (@federico_bosco) June 28, 2017
L’attuale forza politica di governo dovrebbe far però attenzione a due fattori: il primo è che entro non molto anche i “nuovi arrivati” sentiranno il peso (o meglio il non-peso nelle loro tasche) di politiche monetarie deflazioniste, tagli alla spesa e occupazione strutturale tenuta sopra al 10%. Un fenomeno che costerà caro ai fautori di quest’integrazione forzata (la quale è, lo ripetiamo, una ben precisa scelta politica).
Il secondo è che il giochino di fingersi leone con l’agnellino Unione Europea, non sempre ripaga alle urne: questo è almeno ciò che ci ha insegnato il voto dello scorso 4 dicembre, giunto dopo il clamoroso voltafaccia di Matteo Renzi nei confronti di Bruxelles. L’elettore ha una breve memoria ma questa ne guadagna quando le sue tasche piangono.
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