Terrorismo in Italia: perché il nostro paese non ha subito attacchi?

terrorismo in italiaPerché non si è ancora verificato nessun atto di terrorismo in Italia? Se lo è chiesto il quotidiano britannico The Guardian, che ha indagato sui motivi per cui il nostro paese sembra essere meno esposto alla minaccia del terrorismo islamico. Solo fortuna? Non proprio. Secondo l’inchiesta l’Italia avrebbe fatto tesoro della lezione degli anni di piombo, in particolar modo di «quanto sia importante mantenere un dialogo costante a livello operativo tra l’intelligence e le forze dell’ordine» – spiega al Guardian Giampiero Massolo, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) dal 2012 al 2016 – «La prevenzione è la chiave di un controterrorismo efficace». Nella lotta al terrorismo In Italia, continua Massolo, gioca un ruolo fondamentale anche il controllo del territorio; ci favorisce la predominanza di città medio-piccole e l’assenza di luoghi paragonabili alle banlieu parigine. In aree più circoscritte, infatti, è più facile monitorare efficacemente la situazione.

Un altro fattore chiave è che nel nostro paese è quasi del tutto assente il fenomeno di radicalizzazione degli immigrati di seconda e terza generazione. Il fatto che questi ultimi non siano vulnerabili alla propaganda dell’Isis permette alle autorità di concentrarsi su immigrati irregolari o su chi è da meno tempo in Italia. Dall’inizio dell’anno, circa 135 individui che hanno manifestato comportamenti sospetti sono stati espulsi. Per controllare un individuo a rischio 24 ore al giorno servono circa 20 uomini; naturalmente, il monitoraggio diventa più difficoltoso quando i sospetti sono molti. A risparmiarci lo spettro del terrorismo è in primis un’efficace prevenzione. L’ultimo caso riguarda l’arresto di Laura Bombonati, 26enne sposata ad un foreign fighter italiano che sarebbe stato ucciso in battaglia. La donna è stata monitorata costantemente dalla Digos, e arrestata appena avrebbe manifestato l’intenzione di tornare in Siria. A fare la differenza è anche l’impiego delle intercettazioni telefoniche, che, a differenza del regno Unito, sono considerate prove valide in tribunale nei processi di mafia o terrorismo. Da noi, queste possono essere autorizzate sulla sola ipotesi di attività sospetta, anche in assenza di prove.

«In Italia è stato sviluppato un sistema efficace per contrastare le reti criminali ­– aggiunge Francesca Galli, professore assistente all’università di Maastricht e esperta in politiche anti-terrorismo – Disponiamo di un gran numero di agenti sotto copertura che svolgono un eccellente lavoro di intercettazione delle comunicazioni». Inoltre, continua la Galli, l’Italia conosce bene i rischi del tenere i sospetti in carcere, esattamente gli stessi riscontrati per i boss mafiosi: le prigioni sono il primo luogo di affiliazione e reclutamento. L’esempio più recente è quello di Youssef Zaghba, il 22enne identificato come uno dei tre attentatori del London Bridge. Secondo Franco Gabrielli, a capo della Polizia Italiana, il nostro paese avrebbe allertato più di una volta il Regno Unito riguardo Youssef, che era strettamente sorvegliato e atteso da agenti ogni volta che atterrava all’aeroporto di Bologna. Scotland Yard, dal canto suo, ha concluso che Zaghba «non era un soggetto di interesse né per i servizi del MI5 né per la polizia».

 

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