Macron non risolverà i problemi della Francia
Partiamo da una supposizione che poi in fondo tanto supposizione non è: Macron “vincerà” il ballottaggio che il 7 maggio lo vedrà contrapposto al leader di FN, Marine Le Pen.
Il dibattito scatenato intorno a questo scenario verte fondamentalmente intorno a due punti:
- Macron è l’uomo che ha saputo profittare della delicata situazione dei due partiti storici (la sinistra di Hamon soffre i danni provocati dal governo Hollande, mentre Fillon paga gli scandali e “gli affari di famiglia”). Patriota europeo, egli è l’uomo che può salvare l’UE concedendo un sospiro di sollievo ai mercati (che hanno infatti accolto favorevolmente i risultati del primo turno. Questo fatto fa sì che egli abbia ottenuto l’appoggio incondizionato degli stessi Hamon e Fillon).
- Le Pen è un pericolo e va considerata come tale. E’ fascista, con delle idee scellerate riguardo la questione immigrazione e paventa una restaurazione dei nazionalismi, tanto da essere considerata come il carro trainante dei populismi.
Queste motivazioni portano il cittadino medio, quello che vanti più di 2000 euro sulla propria busta paga mensile, a preferire Macron a Le Pen. Non tanto perchè convinti dalla linea politico economica tratteggiata dal primo durante i mesi di campagna elettorale (ne parlaremo tra poco), ma perchè terrorizzati, per farla breve, dal pericolo dell’instaurazione di un nuovo fascismo, in quel paese che è considerato la culla dell’Europa per valori e principi (non dell’UE ndr.)
Ma il cittadino medio francese, al contempo, non riesce a percepire sulla propria pelle gli effetti di una situazione economica delicata, capace, questo sì, di arrecare problemi più estesi nel medio-lungo termine. A dircelo è la stessa Commissione Europea nell’ultimo country report riguardante il paese transalpino: i dati che più preoccupano Bruxelles riguardano l’eccessiva spesa pubblica in rapporto al pil (causata, sembrerebbe, da eccessivi sussidi di natura sociale), un elevato debito pubblico (96% del pil, 4 punti sopra la media dell’eurozona) destinato a crescere ulteriormente, un tasso di disoccupazione preoccupante (10%, mentre quella giovanile si attesta al 24%): in ultimis, ma non per importanza, è da registrare un notevole incremento del debito privato (preoccupa la Commissione in particolare il dato riservato alle imprese industriali, +7% rispetto alla media dell’eurozona).
Come risponde Emmanuel Macron a questi problemi? Con le ricette che abbiamo imparato a conoscere anche in casa nostra: quelle dell’austerity. Egli ha infatti promesso un sostanzioso taglio della spesa pubblica (circa 60 miliardi entro il 2022), un taglio di posti lavorativi rigorosamente pubblici (nell’ordine, 50000 a livello statale e 70000 a livello locale), il tutto rientrante in un piano economico mirante al pareggio strutturale di bilancio entro il 2022 (che per chi non lo sapesse, sta a significare che le entrate dello stato francese dovranno corrispondere alle uscite).
Tutto questo perchè glielo chiede l’Europa: muoversi in questi schemi significherebbe, per il brillante rampollo della finanza europea, non aumentare l’occupazione, come suggerirebbe il suo scintillante programma elettorale (1.300.000 posti di lavoro in più e riduzione del 7% al tasso di disoccupazione), ma lasciare la Francia nel baratro.
Il motivo? Come suggerito dalla stessa Commissione UE la bilancia commerciale francese (ovvero l’indice delle esportazioni al netto di importazioni) non è in una situazione idilliaca: come per molti altri partner europei, tranne un paio (Germania e Olanda ndr), i dati raccontano questo:
Ed è la stessa Commissione a ricordare che la situazione potrebbe peggiorare. Non solo: Bruxelles rammenta ai francesi anche una delle ragioni alla base del trend della bilancia commerciale transalpina.
Che tradotto, per chi mastica poco l’inglese, significa: scordatevi la favola di un’Unione Europea a doppia trazione franco/tedesca, dato che i francesi stanno scontando, proprio come noi o altri paesi dell’eurozona, l’eccessivo abbattimento dei costi del lavoro da parte dello stato tedesco. A causa dell’euro infatti, l’unico modo per indurre compratori esteri ad acquistare il proprio prodotto è abbattere i costi di produzione. Lo si fa tagliando, appunto, i costi del lavoro: risultato raggiungibile “grazie” alla creazione di disoccupazione sistemica in modo che l’offerta di lavoro sia sempre più al ribasso (precarizzati e disoccupati si accontenteranno di salari e welfare inferiori rispetto al passato).
Come farà Macron, o qualsivoglia altro candidato pronto a rispettare le regole europee, a rilanciare l’export francese? Semplice, abbattendo questi costi in cerca di una maggiore competitività e rispettando i diktat di bruxelles (come quello del taglio alla spesa).
Questo porterà sì un aumento delle esportazioni, ma al tempo stesso una mortificazione della domanda interna, capace poi di generare effetti che l’Italia conosce molto bene, ben riassunt in questo schema:
La domanda principale è infatti: se abbassi i redditi delle famiglie e non crei ricchezza attraverso investimenti pubblici, chi comprerà tutto il “frutto “della tua competitività? Domanda questa, da girare a Macron nei prossimi 5 anni.
Delineato il contesto socio economico francese, introduciamo i principali punti del programma di Marine Le Pen (da pochi giorni dimissionaria dalla presidenza del Front National):