La pausa di campionato. Quando puoi scoprire il bello del calcio
La pausa di campionato per le nazionali, diciamolo, la odiano un po’ tutti. Perché si sa che della Nazionale ci interessa solamente quando ci sono i Mondiali o gli Europei, ma che venga interrotto il campionato per una qualificazione o, peggio ancora, per un’amichevole, è veramente insopportabile. Quindi abbiamo pensato di sfruttare la pausa di campionato per trovare storie strane, divertenti e commoventi, delle ultime settimane, per riempire il vuoto della nostra domenica orfana della Serie A.
È di un paio di settimane fa la notizia che ha fatto salire agli onori della cronaca la squadra del Waalwjk, Serie B olandese, che, per accontentare lo sponsor, ha sicuramente accontentato anche i propri tifosi. E sicuramente anche quelli avversari. E anche tanti altri che il calcio non lo hanno mai visto. Il mondo del tifo è molto macho, anche se negli ultimi anni la presenza femminile è aumentata considerevolmente, e ai machi i bambini che all’entrata in campo accompagnano i calciatori sicuramente fanno simpatia, ma insomma … si può far di meglio. Poi, in effetti il calcio è pieno di bei ragazzi nel pieno del loro splendore giovanile. Spesso a fine partita si scambiano le maglie restando a petto nudo. Diciamo che quando fai vedere la partita alla tua ragazza che sbuffa, poi un Cristiano Ronaldo a petto nudo la ripaga dalla noia dei 90 minuti. L’occhio vuole la sua parte. E allora perché non accontentare anche l’occhio maschile, che è comunque il più presente negli stadi? Così per accontentare lo sponsor, che è una marca di intimo, i calciatori sono entrati in campo non accompagnati dagli emozionati bambini, ma da modelle in biancheria intima. Il Waalwjk ha poi perso, ma almeno un bel ricordo ai suoi tifosi sta partita lo ha lasciato.
Non che poi i bambini infastidiscono, sia chiaro. Anzi, sono proprio i più grandi tifosi, quelli per i quali il calcio non è per nulla un business, ma un sogno. E allora per la pausa di campionato vogliamo raccontare la storia di due di loro. Due bambini diventati protagonisti. Uno di una storia commovente, l’altro di una marachella che però ha avuto il suo bel tornaconto.
Bradley Lowery è un bambino tifosissimo del Sunderland. I giocatori sono i suoi idoli assoluti e quello che lo è più di tutti è Jermain Defoe. Purtroppo Bradley da molti mesi sta lottando contro il cancro e quasi sicuramente non ce la farà. Ma il Sunderland ha preso molto a cuore la sua storia e la squadra lo ha simbolicamente adottato. Lo vanno a trovare a casa e all’ospedale, Bradley è felicissimo e combatte la sua battaglia col sorriso sulle labbra perché i suoi campioni sono spesso con lui. Specie Defoe. Tempo fa lo è andato a trovare in ospedale insieme ad alcuni compagni di squadra. Dopo aver giocato con lui, Bradley si è addormentato tra le braccia del suo amico Jermain, che ovviamente è rimasto lì per non svegliarlo.
Defoe, dopo circa 3 anni, è stato convocato in nazionale per la partita contro la Lituania. E non poteva non invitare il suo amico Brad che ha fatto l’ingresso in campo insieme a lui. Tutti lo hanno salutato e festeggiato. Entrato in campo tenendosi per mano con quello che definisce il suo “miglior amico”, quando gli inni hanno cominciato a suonare, si è prima coperto le orecchie perché la musica era troppo forte, ma poi si è guardato intorno, e non gliene importava più di essere a Wembley, di essere di fronte a migliaia di persone e alle tv. Lui ha voluto esprimere il suo affetto e la sua amicizia a Defoe. Si è girato e lo ha abbracciato forte. Per tutta la durata dell’inno, con Defoe visibilmente emozionato. Chi altri avrebbe potuto regalare un’emozione simile a Bradley? Quando qualcuno non riesce a capire cosa ci sia di speciale nel calcio fategli vedere la foto di questo abbraccio. C’è tutta la magia di questo sport in quell’immagine, il senso di tutto.
Ma durante la pausa di campionato un altro bambino è salito agli onori della cronaca. Di questo bimbo non sappiamo il nome ma è senza dubbio un furbacchione. Gran tifoso dell’Udinese va allo stadio col papà a vedere le partite dei bianconeri. Dopo la partita col Palermo la sua maestra gli ha fatto scrivere un tema nel quale doveva raccontare la sua domenica. E lui ha raccontato che aveva visto la partita, che a fine partita era andato vicino all’uscita dei giocatori, che Hallfredsson gli ha tirato la maglia ma che un adulto gliel’ha tolta. La maestra, lette queste righe, pubblica il tema su Facebook. La voce arriva all’Udinese e allo stesso Hallfredsson che promettono al bimbo un invito a vedere gli allenamenti e una nuova maglia di Hallfredsson tutta per lui consegnata dallo stesso giocatore islandese. Una favola a lieto fine? Sì e no. Sì, perché il bimbo comunque avrà quel che desiderava ma … ma la mamma di un altro bambino interviene e dice che la maglia incriminata ce l’ha suo figlio, che gliel’ha data il calciatore e che di sicuro suo marito non ha scippato il ragazzino. Interviene persino la polizia (ellamiseria!) che ha visionato le immagini dell’accaduto e conferma che effettivamente nessuno ha rubato una maglia dalle mani di nessuno. Quindi? Quindi non era vero nulla. Il bambino aveva lavorato un po’ di fantasia. Si è passati dall’orco che ruba le maglie ai bambini al bambino che, come si dice a Roma, c’ha provato. E ci sentiamo di difendere il bambino birbone. Se fosse successo venti anni fa chi l’avrebbe mai scoperto? Non c’erano i social, la maestra avrebbe magari mandato una lettera all’Udinese che lo avrebbe invitato lo stesso e nessuno avrebbe saputo nulla. E non c’erano telecamere negli stadi puntate costantemente sul pubblico. Sì ok, ha detto una bugia, ma i bambini hanno il diritto di dirle, diamine!
Per concludere questa serie di notizie che ci hanno allietato la pausa di campionato parleremo di due persone molto diverse tra loro. Hanno in comune una caratteristica: l’età non più verde. Sono un uomo e una donna. Sono un calciatore e una signora addetta a una lavanderia. Uno si chiama Kazuyoshi Miura, detto Kazu, l’altra è semplicemente la Signora Angela.
Cominciamo da Miura. Gli appassionati di calcio lo ricorderanno per essere stato il primo giapponese della serie A. Approdò a Genova, sponda rossoblù, nel campionato 1994/95, accolto con curiosità, era pagato dagli sponsor per ogni presenza che avesse collezionato. Figurati se a Genova si facevano sfuggire di avere un giocatore e non pagarlo. Di presenze ne totalizzò 21, di 20 non si ricorda francamente nulla, non sembrava adatto al calcio italiano. Ma in una lasciò una traccia indelebile nel cuore dei tifosi genoani. Un goal nel derby che però poi il Genoa perse. A metà Gennaio ha firmato il prolungamento del contratto con lo Yokohama Fc e ha giocato a 50 anni suonati diventando il giocatore più anziano della storia ad aver giocato nel calcio professionistico, togliendo il record al mito Stanley Matthews. Ma Kazu non si è accontentato. Lui, bomber lo è sempre stato e così nella partita contro lo Thespa Kusatsu ha segnato regalando la vittoria alla sua squadra diventando non solo il più anziano ad aver giocato ma anche ad aver segnato. In Giappone è un idolo assoluto, una leggenda.
Ma il calcio non è fatto solo di leggende. Si sentono fare discorsi a volte, come ad esempio nell’estenuante dibattito sullo Stadio della Roma, che non sono cose di interesse pubblico ma cose che
riguardano solo quei “miliardari” (perché quando si dicono queste cose si usa il vecchio conio che fa più scena). Ma in realtà col calcio ci lavorano centinaia, migliaia di altre persone. Persone delle quali non sappiamo nulla, che magari consegnano le bibite a una squadra, quelli che lavorano allo stadio, quelli che producono i palloni, gli operai che fanno le scarpe, quelli che vendono le bandiere, gli addetti ai negozi delle squadre, gli autisti dei pullman, insomma … ci pensate mai che il calcio dà da mangiare anche a tutta questa gente? E tutta questa gente contribuisce a mandare avanti tutto il carrozzone. Ci sono anche quelli che lavorano nelle lavanderie delle squadre. Perché maglie, pantaloncini e calzettoni dei calciatori c’è qualcuno in ogni squadra che li pulisce. E a Bologna, per 38 anni, ha pulito tutto la Signora Angela. La signora è stata in Serie C, in B, ha conquistato la A. Nessuno sapeva chi fosse. Ma lei c’era, sempre. E ha conosciuto tutti i calciatori, è diventata una figura famigliare, una specie di zia di tutti loro. E la Signora Angela è andata in pensione. Quando vanno via i calciatori importanti si organizzano partite d’addio, si ritira la maglia, si fanno feste. Perché loro sono quelli che vanno in campo e quindi il pubblico li conosce. Ma ci sono quelli che mandano avanti la baracca senza che nessuno sappia chi siano. E quando vanno in pensione vanno onorati lo stesso. Così il Presidente Saputo ha convocato tutti, ma proprio tutti, coloro che lavorano nel Bologna. Dai calciatori, ovviamente, allo staff tecnico, ai magazzinieri, agli impiegati. Perché la Signora Angela andava salutata, ringraziata ed onorata come si deve. Ma la Signora non se lo aspettava, non così, lei non è mai stata protagonista, non è mai stata di fronte ai riflettori. Così quando vede che tutti son lì per festeggiare lei, si commuove, si vergogna anche un po’ e si nasconde, ma poi ringrazia e brinda con quei ragazzi che la abbracciano e baciano, e lei li accarezza come fossero tutti nipoti suoi.
Sì, il calcio è uno sport da “miliardari”, ma è anche il mondo dove, complice la pausa di campionato che ci dà il tempo di scoprirle, si scoprono storie così, storie come quella della Signora Angela, come quella del vecchietto inesauribile Miura, della bellissima amicizia tra Defoe e Bradley e della marachella del bambino Udinese. Come fate a pensare che il calcio sia tutta una questione di soldi? Lo è, ma come disse il gigantesco Clarence Seedorf “il calcio è emozione”. L’emozione che può darti vedere gli occhi lucidi della Signora Angela. L’emozione che può darti vedere il piccolo Bradley così felice.
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