Martina Levato, sciopero della fame per il figlio
Martina Levato, condannata a 20 anni di reclusione per le aggressioni con l’ acido ha intrapreso lo sciopero della fame come protesta contro la decisione della Corte d’Appello del 6 marzo che conferma l’adottabilità di suo figlio. Il bambino ha un anno ed è nato dalla relazione con il suo complice nelle aggressioni padre Alexander Boettcher, anche lui finito in carcere nel dicembre 2014 al culmine dell’inchiesta del pm Marcello Musso e poi condannato al carcere. Lo riporta Laura Cossar, il rappresentante legale della Levato precisando che la sua assistita (che si trova dal dicembre 2014 nel penitenziario di San Vittore):”Ha iniziato già il 7 marzo lo sciopero della fame, come forma di protesta non violenta, alla sentenza di adottabilità del figlio. Dopo aver scritto al Ministro della Giustizia ed al Sommo Pontefice smettere di alimentarsi resta l’unico mezzo rimasto a questa mamma, per dare voce, dal Carcere, al profondo dolore del distacco dal suo bambino.” Secondo il suo avvocato inoltre: “ Martina Levato ricorrerà alla Suprema Corte di Cassazione ed alla Corte di Strasburgo, per la palese e grave violazione dei suoi diritti fondamentali di donna e di madre”.
Lo sciopero della fame sarebbe l’ estremo tentativo di convincere i giudici ad assecondare le richieste della Levato e della difesa della ex studentessa che vorrebbe fosse trasferita all’Istituto di custodia attenuata per madri detenute insieme al bambino.
Ma la Sezione minori e famiglia della Corte d’Appello ha nuovamente confermato pochi giorni fa il precedente verdetto del Tribunale per i Minorenni, che ha tolto la potestà genitoriale alla coppia dell’ acido. Da qui la decisione della Levato di adottare il digiuno e continuare lo sciopero della fame pur di lottare per il figlio.
Le motivazioni del provvedimento rigettano l’ ipotesi della difesa per cui “ tolto Alexander Boettecher ormai ex amante della Levato, il ‘rapporto’ madre e figlio possa partire e proseguire sui giusti binari” anzi la Corte sottolinea che tale posizione non tiene conto del fatto che “il bambino subirà per sempre il marchio di una famiglia così segnata da atroci violenze”.
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