March for Repeal: Dublino marcia per il diritto all’aborto [INTERVISTA]
Dublino – L’8 marzo 2017 è stata una giornata non tanto di festa quanto di lotta internazionale delle donne di tutto il mondo. In Irlanda migliaia di persone sono scese in piazza e hanno manifestato per le strade di Dublino in un’imponente March for Repeal contro l’Ottavo Emendamento che nega il diritto all’aborto nell’Emerald Isle. La protesta in nero – #Strike4Repeal, #Repealthe8th – che è iniziata alle 17:30 davanti al Garden of Remembrance nei pressi di O’Connell Street e che ha visto l’intervento di alcune attiviste portavoci della lotta contro la società patriarcale che nega loro il diritto di scegliere – si è poi conclusa circa tre ore dopo davanti al Parlamento. Questo il tenore di alcuni slogan di protesta: “Not the Church, not the State, Women must decide their fate” (“Non la Chiesa, non lo Stato, le Donne decidono il loro fato”), “Our body, our choice” (“Il nostro corpo, la nostra scelta”), “Get your rosaries off my ovaries” (“Tieni i tuoi rosari fuori dalle mie ovaie”).
Le attiviste attraverso la lotta politica intendono esortare il governo ad indire un referendum sull’aborto tuttora illegale nel Paese. L’Irlanda infatti possiede una legislazione vigente in materia di aborto tra le più restrittive del pianeta e l’Ottavo Emendamento, inserito nella Costituzione irlandese a seguito del referendum indetto nel 1983, il quale garantisce al feto gli stessi diritti della donna incinta, spaventa e colpisce diverse generazioni di donne che sono stanche di restare a guardare e che hanno deciso di intervenire. Lo strapotere esercitato da Stato e Chiesa nega alle donne il diritto all’aborto anche in caso di stupro, incesto e gravi malformazioni al feto rendendolo illegale e punibile con pene severissime (fino a 14 anni di reclusione). Noi di LineaDiretta24 abbiamo marciato con loro e abbiamo intervistato Rita Harrold una delle attiviste femministe pro-choice del gruppo Rosa facente parte della Coalizione per la Revoca dell’Ottavo Emendamento (coalizione composta dall’alleanza di circa 80 gruppi di attivisti).
Intervista: la Coalizione della March for Repeal in lotta contro l’Ottavo Emendamento
Ogni anno migliaia di donne irlandesi devono recarsi nel Regno Unito o in Olanda per abortire in modo sicuro e legale (si stimano 12 donne ogni giorno). Quali sono le ripercussioni psicologiche su di loro?
La limitata ricerca che è stata condotta in questo senso rivela che l’impatto di questi viaggi per accedere in modo sicuro e legale all’aborto è davvero devastante in quanto fa sentire le donne delle criminali. Loro si sentono socialmente isolate e del tutto prive di ogni supporto psicologico perché la legge le costringe ad andare all’estero, lontano dai loro affetti più cari che le supporterebbero se solo fosse possibile abortire nel proprio Paese. Le donne inoltre hanno paura di chiedere, di essere giudicate, stigmatizzate e socialmente marchiate.
Cosa dice l’Ottavo Emendamento e chi protegge? Ne state chiedendo la revoca?
L’Ottavo Emendamento considera il feto e la donna incinta uguali, negando quindi alla donna il diritto di terminare la gravidanza in quasi tutte le circostanze (stupro, incesto, malformazioni del feto) a meno che la donna stessa non sia in evidente pericolo di vita. Noi vogliamo un referendum per revocare l’Ottavo Emendamento e non ci accontenteremo di un piccolo cambiamento. Vogliamo abolire completamente questa legge e passare ad una legislazione pro-choice.
Le leggi contro l’aborto favoriscono l’aborto clandestino?
Questo no, le donne irlandesi vanno direttamente nel Regno Unito per avere accesso legale alle interruzioni di gravidanza oppure sono costrette a contattare attraverso internet dei medici olandesi per ottenere dei consulti. Approssimativamente 3 donne al giorno ordinano pillole abortive sul web (tramite il sito WomenOnWeb.org) che ricevono direttamente a casa per posta.
In Italia l’aborto è stato legalizzato con la legge 194 del 1978 anche se stiamo ancora combattendo contro l’obiezione di coscienza all’interno degli ospedali. In Irlanda le donne rischiano fino a 14 anni di reclusione in caso di aborto. La campagna condotta da Amnesty International “My body, my rights” in che modo mostra la violazione dei diritti umani?
Nel gruppo di attiviste Rosa noi portiamo spesso l’esempio italiano. Non vogliamo ottenere un diritto solo teorico all’aborto ma anche e soprattutto pratico e per questo intendiamo separare Chiesa e Stato. I diritti umani vengono violati ogni giorno in Irlanda e non solo per le donne che quotidianamente sono costrette ad andare nel Regno Unito per abortire, ma anche per tutte quelle donne che decidono di portare avanti la gravidanza e che non hanno davvero il diritto di scegliere neppure le procedure mediche alle quali sottoporsi. Il feto resta comunque, di fatto, più importante della donna.
È doveroso ricordare il tragico caso di Savita Halappanavar morta quasi 5 anni fa in un ospedale irlandese. In che modo la salute delle donne è seriamente danneggiata dalla legge restrittiva sull’aborto? Si può parlare di violenza istituzionalizzata contro le donne?
Savita aveva i soldi per andare nel Regno Unito per l’interruzione di gravidanza ma ormai era troppo malata ed è morta quasi 5 anni fa in un ospedale irlandese. Il governo e la Chiesa cattolica hanno demonizzato per molti decenni la sessualità della donna. La Chiesa cattolica gestisce la maggior parte delle scuole pubbliche e degli ospedali pubblici pagati ovviamente con i soldi delle tasse. Il governo e la Chiesa hanno il totale controllo sulla società ma noi non rinunceremo alla lotta.
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