Dj Fabo: quando la volontà di porre fine al dolore supera le istituzioni

Ieri, 27 Febbraio 2017, Dj Fabo è morto in un Paese che non è il suo ma che, al contrario del suo, ha saputo rispettare la sua volontà. Fabiano Antoniani ha messo fine alla sua vita di sofferenza e dolore in una clinica svizzera ricorrendo al suicidio assistito, perché estenuato da una situazione psicofisica che lo costringeva a letto e lo obbligava a essere assistito costantemente dai familiari. Cieco e tetraplegico a causa di un tragico incidente in moto, Dj Fabo ha deciso di porre fine al suo dolore con il suicidio assistito, atto che pone fine alla vita, compiuto dal soggetto con l’aiuto di altre persone in determinate situazioni di malessere fisico e psichico.

 

Ma per comprendere meglio il significato del suicidio assistito è opportuno soffermarci sul significato dell’eutanasia e la distinzione tra quest’ultima e il testamento biologico. È innanzitutto da specificare come l’eutanasia si distingue in due generi ben diversi: eutanasia attiva e passiva. La prima, consiste nel porre fine alla vita di un paziente laddove quest’ultimo ne abbia fatto richiesta in prima persona e abbia dimostrato in qualche modo di essere consenziente. Questa pratica la si può operare solo nel momento in cui non si attestano possibilità di guarigione o non ci sono possibilità di condurre una vita in modo dignitoso. Appurato questo gli viene così somministrato un sonnifero letale. In modo diverso l’eutanasia passiva consiste nella sospensione di un determinato trattamento che fino ad allora aveva permesso al paziente di mantenersi in vita. Infine c’è la pratica del testamento biologico, più precisamente le DAT (c.d. Disposizioni anticipate di trattamento biologico) che per l’appunto consiste nella dichiarazione anticipata della volontà in merito ai trattamenti sanitari, di poterli interrompere o semplicemente rifiutare. Si tratta dunque di un documento in cui indicare quali trattamenti seguire in caso di incidenti e quali rifiutare, utile specialmente quando si è incapaci di comunicare verbalmente.

 

Il testamento biologico, di cui per la prima volta nella storia si discute il 27 Febbraio, è quindi un passo importante nei diritti civili del nostro Paese. Oltre ad essere un atto che comprende tutte le decisioni riguardanti il proprio corpo, del quale ciascuno può disporre in merito ai trattamenti sanitari da sostenere, include anche le relative disposizioni riguardanti eventuali donazioni del proprio corpo o di organi. Un vero testamento dunque, volto a tutelare il diritto delle persone anche e soprattutto laddove vengano privati della parola per poterlo comunicare. (Leggi qui per ulteriori informazioni).

 

Uno step fondamentale, quello del biotestamento, che però si discosta nettamente dall’eutanasia. Se infatti in Belgio, Lussemburgo, Olanda, Oregon e Stati Uniti l’eutanasia è permessa laddove ci sia uno stato di “costante e insopportabile sofferenza fisica e psichica del paziente”; e, ancora, se in Portogallo si possono autorizzare atti per l’interruzione dei trattamenti terapeutici, al contrario in Svezia è del tutto vietata la pratica dell’eutanasia attiva ma al contrario è tollerato il suicidio assistito così come in Germania e in Svizzera, Paese in cui ha esalato l’ultimo respiro Dj Fabo.

 

Ma se queste sono le attuali normative vigenti negli altri Paesi, qual è il quadro normativo in Italia relativo all’eutanasia? Nel nostro Paese l’eutanasia e il suicidio assistito sono entrambi atti punibili dagli articoli 575, 579, 580 e 593 del codice penale. Peraltro, il codice penale italiano non include in alcun modo la definizione di eutanasia, in quanto la deliberata morte di un paziente su sua richiesta rientra interamente nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 o dall’articolo 580 del codice penale. Ma il punto messo per iscritto che dovrebbe farci riflettere lo si trova nell’articolo 32 della Costituzione italiana, in cui si legge: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto delle persone umane”. E, dunque, se la legge non può in nessun modo violare i limiti imposti dal rispetto delle persone, perché lo Stato è rimasto indifferente dinanzi a un paziente invaso dal dolore, vittima del suo perenne stato psicofisico che non gli consente di vivere dignitosamente? E perché Fabiano è stato obbligato a morire in un altro Paese che non fosse il suo, esiliato e abbandonato da uno Stato in cui nessun partito politico ha avuto la forza di lavorare seriamente a una legge sull’eutanasia, pur essendoci 6 proposte di legge ferme da più di un anno alla Camera? Sono interrogativi che rimangono tali, a cui però però prima o poi l’Italia dovrà fermarsi e rispondere. Rispondere a tutti i cittadini, in primis a tutti coloro che si trovano in uno stato psicofisico tale da vedersi negata la possibilità di vivere nel modo che loro ritengono appropriato e dignitoso; e non da meno rispondere a Dj Fabo che con il suo ultimo messaggio ci ha fatto capire come la necessità di porre fine al dolore è stata più forte delle normative vigenti e delle istituzioni.

 

Dalla parte delle istituzioni l’unico aiuto concreto che Dj Fabo ha ricevuto è stato quello dei radicali, nella persona di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e da sempre impegnato nel campo del fine vita. Marco ha accompagnato Fabo fino in Svizzera per riprendersi la sua libertà e ora sta rientrando in Italia, pronto ad assumersi la responsabilità di quanto accaduto di fronte a un Paese ancora ostile. Ma sopra le voci che si scontrano restano le ultime parole di Fabo: «Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Si chiama Marco Cappato e lo ringrazierò fino alla morte. Grazie Marco. Grazie mille».

 

 

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