L’indecenza e la forma, Pasolini nella stanza della tortura al Teatro Argentina
A oltre quarant’anni dalla sua morte, Pier Paolo Pasolini è tutt’ora vivo e presente con la sua opera in tutti i teatri italiani, così come lo è la sua pesante assenza nel dibattito culturale contemporaneo. Nell’ambito del progetto “Roma per Pasolini” con cui a partire dall’anno scorso la città omaggia la sua figura celebrandone l’anniversario della tragica scomparsa, il Teatro Argentina ha ospitato la Prima nazionale de L’indecenza e la forma – Pasolini nella stanza della tortura di Giuseppe Manfridi, spettacolo messo in scena dal regista Marco Carniti e interpretato da Sebastian Gimelli Morosini e da un’immensa Francesca Benedetti, per la quale il copione è stato appositamente scritto.
Un testo di certo non semplice, che non vuole essere solo un mero omaggio a Pasolini, quanto piuttosto un’indagine della sua sfera più intima e segreta, quella che riguarda il rapporto con i suoi genitori, soprattutto la relazione amorevole-conflittuale con la madre. Carniti si serve della biografia e della poetica pasoliniana per concentrarsi sui determinanti giochi di potere all’interno della famiglia, sul rapporto distorto e malato tra padre-madre-figlio, “un triangolo familiare che dal momento stesso del parto materno delinea un destino di ostacoli emotivi capaci di scardinare la psicologia, frantumandone la personalità e generando vuoto, solitudine e disperazione” come afferma il regista stesso. Pasolini rivive qui i suoi rapporti con la madre e il padre, dato centrale della sua biografia, in una sorta di incubo feroce dove si dà spazio a più voci, tutte affidate a Francesca Benedetti che, con pathos e un’oratoria che ha qualcosa di antico, di tragedia greca, infiamma il palcoscenico.
Malgrado la sua magistrale interpretazione, il testo di Manfridi ha troppo dell’elegìa classica, sia nella metrica che nei contenuti, per essere seguito ed apprezzato con attenzione dall’inizio alla fine. Tuttavia riesce a rendere bene l’idea di quella scandalosa brutalità della voce pasoliniana nella cui vita e opera “l’indecenza e la forma coabitano, condannandolo a quella stanza della tortura da sempre assegnata, su questa terra, ai grandi eretici di ogni epoca”.
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