Real Madrid-Napoli ossia l’idealismo assoluto di Sarri
Doveva essere un banco di prova per il Napoli ed è finito per essere un banco per gli imputati. Il principale fra questi è sicuramente Sarri. La poco velata accusa ovviamente è del patron De Laurentiis. Ma perché? Perché complicare così la situazione all’interno della squadra dopo una sconfitta al Bernabeu contro il Real Madrid, la squadra che, l’anno scorso, ha vinto tutto (campione di Spagna, campione d’Europa e campione del Mondo) e che ha il più forte calciatore del mondo che ha chiuso la stagione con ogni record possibile e praticamente irripetibile? Sembrerebbe, messa in questo modo, un’assurdità, ma probabilmente questa partita ha portato a galla molto di più di quello che ha fatto vedere.
LA PARTITA
Se il risultato ha parlato chiaramente a favore delle Merengue, il primo quarto d’ora ha fatto intravedere due squadre quasi sullo stesso livello. Il Real, sì è vero, palleggiava di più ma il Napoli era cortissimo, le distanze fra i reparti erano minime e perciò la densità favoriva il pressing. E il gol dei partenopei ne è la dimostrazione: lo scambio nello stretto tra Diawara, Mertens e Hamsik, la verticalizzazione immediata di quest’ultimo per Insigne, il cui genio lo porta a pensare una conclusione di quel genere. Perfetti tecnicamente e tatticamente ma soprattutto cinici nell’approfittare delle mancanze difensive del Real: difesa alta con i centrali larghissimi e portiere completamente fuori posizione, in pratica lettura del gioco pari a zero. Ma il merito del Napoli rimane. Poi, mano a mano che ci si allontanava dal quarto d’ora iniziale, la partita è cambiata progressivamente e in maniera esponenziale a favore dei blancos.
Il Napoli ha lasciato sempre più campo al Real ma soprattutto ha perso sicurezza e fiducia. Gli errori tecnici si sono fatti sempre più frequenti. Le cose sommate, come risultato, hanno prodotto prima il gol di Kroos e poi la prodezza di Casemiro. Il cronometro segnava così al 54′: Real 3 Napoli 1. Dopo si conta qualche occasione mancata del Real e una ghiotta di Mertens. Ma tutto sommato la sensazione era che le accelerazioni delle Merengue potevano far sempre male e solo una loro distrazione poteva regalare al Napoli un risultato più favorevole. E i partenopei sembravano accontentarsi della situazione che si era creata, forse in soggezione dello stadio e della leggenda che avevano davanti.
Due partite, dunque, dentro la partita che hanno evidenziato i pregi e i difetti della squadra di Sarri. Giovane, frizzante e imprevedibile da una parte, e insicura, poco solida dall’altra. È quindi la condizione mentale il difetto principale? Sembrerebbe così e il campionato ce lo ha dimostrato: partite più volte che sembravano chiuse e riaperte per cali di concentrazione (vedi Napoli-Torino 5-3), se segna solo un gol non vince mai (il recente 1-1 con il Palermo ne è la dimostrazione).
Ma un altro problema sembra materializzarsi dopo le dichiarazioni di De Laurentiis: l’idealismo assoluto di Sarri. Fedelissimo non solo del 4-3-3, che non ha mai cercato di cambiare, ma anche di quei 13 o 14 giocatori che ruota (i cambi sono fissi) lasciando gli altri 6 o 7 completamente fuori dalle gerarchie. Il Napoli, oramai si sa, gioca in quel modo con quegli interpreti. I cambi sono dettati soltanto dalla necessità: vedi Mertens centravanti al posto dell’infortunato Milik. Ed è questo che il patron rimprovera a Sarri e, onestamente, di esempi ce ne sono. Vedi Gabbiadini, vittima preferita dell’idealismo assoluto di Sarri, costretto a indossare i panni da prima punta quando le migliori cose le aveva fatte vedere da esterno d’attacco o quel Mertens che si vedeva obbligato a subentrare a venti minuti dalla fine e ora, per necessità, inamovibile lì davanti … tanto intoccabile da relegare il nuovo acquisto Pavoletti (preso per sopperire all’assenza di Milik) in panchina, che ora, con il rientro del polacco, si ritrova addirittura in tribuna. O ancora l’oggetto del mistero Rog a cui spazio non è mai stato dato se non in Coppa Italia contro lo Spezia (ben poca cosa).
E anche ieri sera, con il senno di poi, forse era preferibile mettere un centravanti di peso per contrastare i due centrali del Real e soprattutto per sfruttare il gioco aereo e magari Mertens come seconda punta. Inoltre preferire Pavoletti a Milik poiché quest’ultimo rientrava da un lungo infortunio e non aveva più il ritmo partita. Ma questo avrebbe voluto dire cambiare modulo, cambiare gerarchie. Insomma voleva dire sconfessare l’idealismo assoluto di Sarri. Sarebbe andata diversamente? Non ne siamo sicuri. Ma di una cosa ne siamo: quest’idealismo assoluto ha portato il Napoli al Bernabeu a giocarsi l’andata degli ottavi di Champions. Che sia arrivato al suo apice o che sia una tappa intermedia per crescere ancora?
Twitter: @Francesco Nespoli